angelo
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venerdì 3 febbraio 2006
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il capolavoro di kitano
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Il boss della yakuza Murakawa, stanco e demotivato, è fermamaente intenzionato a ritirarsi. I superiori gli affidano però un'ultima missione ad Okynawa, che si rivelerà un micidiale tranello e lo porterà condividere con i suoi uomini un viaggio consapevole verso la morte. Mirabile opera che consentì al mondo occidentale di conoscere l'arte di Kitano "Beat" Takeshi, superstar in Giappone ma pressoché sconosciuto dalle nostre parti fino al 1993, anno in cui vinse il festival di Taormina patrocinato da Enrico Ghezzi. In "Sonatine" Kitano esprime al meglio la sua poesia filmica, fatta di pause oniriche e scoppi di violenza che lasciano intatto lo stile inconfondibile del cineasta. La morte si palesa in ogni fotogramma, le immagini congelano l'istante, i gangster-bambini che giocano sulla spiaggia sembrano essere lì da sempre.
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Il boss della yakuza Murakawa, stanco e demotivato, è fermamaente intenzionato a ritirarsi. I superiori gli affidano però un'ultima missione ad Okynawa, che si rivelerà un micidiale tranello e lo porterà condividere con i suoi uomini un viaggio consapevole verso la morte. Mirabile opera che consentì al mondo occidentale di conoscere l'arte di Kitano "Beat" Takeshi, superstar in Giappone ma pressoché sconosciuto dalle nostre parti fino al 1993, anno in cui vinse il festival di Taormina patrocinato da Enrico Ghezzi. In "Sonatine" Kitano esprime al meglio la sua poesia filmica, fatta di pause oniriche e scoppi di violenza che lasciano intatto lo stile inconfondibile del cineasta. La morte si palesa in ogni fotogramma, le immagini congelano l'istante, i gangster-bambini che giocano sulla spiaggia sembrano essere lì da sempre. La dimensione ludica, immersa in un paesaggio desolato e magnifico, non fa che accrescere il senso di morte, accentuandone però il carattere di eternità e dolcezza. Di fatti anche nelle violentissime sparatorie gli Yakuza non accennano mai a proteggersi dalle pallottole, ne' tantomeno a fuggire. La morte è un cammino da percorrere consapevolmente, non lo spauracchio che la nostra cultura ci ha insegnato a cancellare dalla mente. A livello estetico emerge con prepotenza il Kitano pittore: la cura delle immagini e l'equilibrio dei colori colmano lo sguardo ed il cuore dello spettatore di una purezza ingenua e pittorica. Il montaggio, come sempre a cura dello stesso Kitano, rappresenta la partitura musicale delle immagini, ed alterna magistralmente lunghe inquadrature a brevissime sequenze frammentate e frenetiche. "Sonatine" è uno di quei pochi film che sanno emozionare senza aver bisogno di esprimere giudizi morali, la cui bellezza viene immediatamente percepita attraverso i sensi, più che essere interpretata dal cervello. Un film assolutamente imperdibile, leggero e avvolgente come solo la poesia sa essere.
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(di strategie72)
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laurence316
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martedì 26 settembre 2017
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la sonata fatale di kitano, capolav. intramontab.
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Finalmente scoperto anche in Italia grazie al successivo Hana-Bi (1997), Kitano, non solo regista ma anche attore, sceneggiatore, montatore, scrittore, pittore, showman e autore televisivo, ha uno stile inconfondibile: i suoi film sono lenti, spesso con dialoghi ridotti all'osso e sovente sconcertano lo spettatore con repentini cambi di registro. Le sue trame sono radicali e fortemente intimiste, offrono una visione del mondo triste, pessimista e sconsolata, non assolvono mai nessuno.
Naturalmente, Sonatine non fa eccezione, e anzi presto si afferma quale uno dei migliori del regista, di certo uno di quelli più nichilisti e malinconici, nonostante parta all'insegna di una sottile vena di sarcasmo e umorismo nero, uno di quelli più spiazzanti e memorabili, uno di quelli più originali, incredibili e indimenticabili.
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Finalmente scoperto anche in Italia grazie al successivo Hana-Bi (1997), Kitano, non solo regista ma anche attore, sceneggiatore, montatore, scrittore, pittore, showman e autore televisivo, ha uno stile inconfondibile: i suoi film sono lenti, spesso con dialoghi ridotti all'osso e sovente sconcertano lo spettatore con repentini cambi di registro. Le sue trame sono radicali e fortemente intimiste, offrono una visione del mondo triste, pessimista e sconsolata, non assolvono mai nessuno.
Naturalmente, Sonatine non fa eccezione, e anzi presto si afferma quale uno dei migliori del regista, di certo uno di quelli più nichilisti e malinconici, nonostante parta all'insegna di una sottile vena di sarcasmo e umorismo nero, uno di quelli più spiazzanti e memorabili, uno di quelli più originali, incredibili e indimenticabili.
Lontano da qualsiasi tipo di moda o convenzione, è un film estremamente personale, violento ma sorretto da un'atmosfera quasi magica, astratta, fuori dal tempo. E' imprevedibile come un qualsiasi altro film di Kitano e la scena finale (già cult) ne è emblematico esempio.
Lo stile unico del regista tocca qui nuovi (insuperati) vertici e “il bello è che questo modo di narrare imprevedibile e folgorante non si esaurisce nel formalismo, ma sottende una visione amara della vita come ilare avvicinamento alla morte” (Mereghetti). Bizzarro e inclassificabile , clamoroso insuccesso di pubblico in Giappone (dove Kitano è visto più come un comico), Sonatine, presentato alla sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes, divide critica e pubblico ma si conquista nel tempo un sempre maggiore seguito, che finirà per riconoscerlo quale uno dei migliori film degli anni '90 (riconoscimento che indubbiamente si merita).
Eccellente e magnifica, come sempre, la colonna sonora del grande Joe Hisaishi, collaboratore anche di Miyazaki e dello Studio Ghibli.
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paola di giuseppe
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martedì 29 giugno 2010
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l'enigma insolubile del cinema
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“Il cinema è un enigma inesplicato o un enigma insolubile.Creo l’enigma che il pubblico può risolvere nella maniera che vuole.” (Kitano)
Sonatine offre al pubblico un enigma che inizia dal titolo.
Nella trascrizione katakana è (traslitterato)"Sonachine",musica folk di Okinawa al quale Joe Hisaishi si ispira per la colonna sonora.
Murakawa è un boss yakuza stanco della vita pericolosa che conduce,ha raggiunto una certa agiatezza economica e vuol chiudere la partita (“Siamo cattivi, vero?”dice con humor nero al suo vice Katagiri mentre affogano il malcapitato gestore della sala da mahjong appeso al braccio della gru).
Il suo capo Kitajima,però,lo costringe ad andare ad Okinawa per mettere fine ad una guerra tra bande rivali.
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“Il cinema è un enigma inesplicato o un enigma insolubile.Creo l’enigma che il pubblico può risolvere nella maniera che vuole.” (Kitano)
Sonatine offre al pubblico un enigma che inizia dal titolo.
Nella trascrizione katakana è (traslitterato)"Sonachine",musica folk di Okinawa al quale Joe Hisaishi si ispira per la colonna sonora.
Murakawa è un boss yakuza stanco della vita pericolosa che conduce,ha raggiunto una certa agiatezza economica e vuol chiudere la partita (“Siamo cattivi, vero?”dice con humor nero al suo vice Katagiri mentre affogano il malcapitato gestore della sala da mahjong appeso al braccio della gru).
Il suo capo Kitajima,però,lo costringe ad andare ad Okinawa per mettere fine ad una guerra tra bande rivali.
Appena arrivato Murakawa si rende conto della trappola in cui è caduto.La sua attività funzionava troppo bene,bisognava eliminarlo e mandarlo lì ha fatto sì che la sua presenza sia stata interpretata come una provocazione dalla gang rivale con cui Kitajima sta tessendo accordi sottobanco.
Scatta allora una serie di reazioni (esplosioni, aggressioni,il solito bim bum bam del repertorio di Kitano)che hanno termine su una spiaggia isolata,dove gli yakuza al seguito di Murakawa riparano.
Su questa spiaggia il tempo si ferma.
Il cinema openspace di Kitano tocca i suoi vertici:strade sulla costa fra alti cespugli di eriche,all’orizzonte una striscia di mare, spiagge a perdita d’occhio dilatate da panoramiche infinite,cieli pastello di nuvole leggere,petali rossi lanciati in aria che ricadono in forma di frisbee,cieli notturni pieni del grande occhio della luna o solcati da razzi multicolori,quadri entro i quali la storia scorre lenta per poi precipitare in picchi inaspettati di mobilità convulsa.
E’ la vita che si arresta per ritrovare sé stessa nel gioco:trappole scavate nella sabbia,roulette russa con beffa,incontri di sumo con sagome di carta prima e con persone poi,danze e canti,battaglie con i fuochi d'artificio,frisbee,tutto ricorda la sequenza dei giochi d’infanzia de L’estate di Kikujiro,ma qui ci sono la paura e la morte ad aspettare al capolinea.
La musica di Hisaishi scorre intanto lungo le sue coordinate,sembra ogni volta che voglia portare da un’altra parte rispetto alla traiettoria degli eventi,crea quella ripresa del tema,imprevedibile e astratta,che porta alla terza parte del film,la resa dei conti, folgorante,epica e disperata,con inquadratura dall’esterno della carneficina nell’Hotel,fatta immaginare dal riverbero luminoso sui finestroni e dal fragore delle armi.
Il cammino verso la morte è all’epilogo,ma ora tutto è come purificato dalla catarsi tragica che ha avuto luogo su quella spiaggia.
Il gioco d’infanzia (“Che altro posso fare?”ha risposto Murakami alla domanda “Non è un po' troppo infantile, capo?")l'amicizia fra Ken e il giovane Ryoji,la confessione di Murakami che rivela alla ragazza dal viso di porcellana,la prostituta senza nome,la sua paura della morte,il rapporto insolito,dolce,con lei,mentre le dice sorridendo sotto la pioggia “E’ divertente non avere pudore, mi piace”,tutto rende possibile,anche l’accettazione della morte,prima fatalità tragica o sberleffo disperato,ora scelta definitiva e pacata.
“Ritornerai?” gli aveva chiesto la ragazza“Forse,chissà…e tu ci sarai ?”,“Forse…chissà”.
L’enigma si svela,l’ultima immagine è un alternato sul viso della ragazza e la macchina azzurra di fronte al mare col finestrino imbrattato di sangue.
La partita è chiusa sull’ultima nota della sonatina.
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claudus
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lunedì 1 giugno 2009
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dead man walking
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Ecco Takeshi Kitano,in versione : follia leopardiana.
Film de-stabilizzante come tutte le opere d'arte geniali...Infastidiscono,sono ruvide,disarmoniche.
Questa pellicola mi parla degli argini dell'arte. La bambola impazzita di Takeshi da un lato canzona le mafie,dall'altro ne parla con una forza tale da risultare congelante.
Mi mostra la freddezza omicida, l'autorevolezza necessaria,il fascino silenzioso e serafico dei boss,l'aforisma di un colpo di pistola.
Ma questo lo sapevo già.
Non sapevo cosa fa uno yakuza nel tempo libero.
In un dialogo memorabile con la ragazza,peraltro di un erotico impressionante,ci sintetizza addirittura Kierkegaard : " Quando hai sempre paura, ne hai così tanta che vorresti morire ",dice ridendo Takeshi.
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Ecco Takeshi Kitano,in versione : follia leopardiana.
Film de-stabilizzante come tutte le opere d'arte geniali...Infastidiscono,sono ruvide,disarmoniche.
Questa pellicola mi parla degli argini dell'arte. La bambola impazzita di Takeshi da un lato canzona le mafie,dall'altro ne parla con una forza tale da risultare congelante.
Mi mostra la freddezza omicida, l'autorevolezza necessaria,il fascino silenzioso e serafico dei boss,l'aforisma di un colpo di pistola.
Ma questo lo sapevo già.
Non sapevo cosa fa uno yakuza nel tempo libero.
In un dialogo memorabile con la ragazza,peraltro di un erotico impressionante,ci sintetizza addirittura Kierkegaard : " Quando hai sempre paura, ne hai così tanta che vorresti morire ",dice ridendo Takeshi.
E Soren più compiutamente dice : " Quando la paura è tale che la morte è divenuta speranza,allora la disperazione è la perdita della speranza di poter morire ". La morte che muore...In un'illusoria eternità che non si vuole.
Perchè non vuole morire l'innamorato,ché eternamente vuole amare,ma chi perde l'amore e la speranza- di-spera.
E può solo di-sperare eternamente. Così sembra a chi di-spera, che il suo stato sia infinito. E' un modo umano di "credere"...Credere che uno stato sia fisso,mentre tutto è in transito.
Takeshi muore e ci offre la morte in ogni sequenza-novella. Solo l'imitazione dei " pupi " sulla spiaggia solo,l'imitazione delle maschera sembra avere ancora un senso. Chi cade perde. E perde la vita come un re sotto scacco a cui non resta che diventare " matto " per prigionia,per paralisi .
Silenzio surreale,indifferenza surreale,si gioca a fare il nulla,si recita a fare e tentare costantemente ,il nulla.
Sono in scena gli argini dell'arte e si vede,quanto sia pericolosa l'impossibilità di morire moralmente anche nell'arte, arte che non limita il bene e il male.
Che ha smarrito l'illusione di che cosa sia questo "bene" e " male ",o viceversa,ne ha trovato la coscienza piena del suo non esistere.
Tutto è forza,esaltazione della forza,nella vanagloria del più forte.
Alla fine vince il più forte,ma, dopo aver perso la vanità di future battaglie ,la vita deve finire con la battaglia medesima.
Se la morte sta davanti ad ogni momento allora si deve essere sempre pronti a morire.
Ma che significa?
Significa che si deve imparare a morire vivendo nell'orizzonte,anzi nella verticalità della morte.
Qui nessuno ha fretta. Infastidisce perfino,l'assenza di "sensi" che tremino davnati a una pistola.
Qui un coltello fa sbadigliare, Offrire le spalle a un accoltellato è più che sufficiente,è il graffio di un ragazzino.
Lo stupratore gli fa pena,ma alle parole si risponde con una testata,ad un coltello parlante con una pistola carica,ben più rumorosa.
I morti nel film generano sempre un arresto,quasi che quell'assenza fosse emotività residua.
E' nell'assenza che il film offre emozione.
Takeshi mi dice ,in fondo, che vuole morire per essere morto davvero.
E allora resta da chiedersi. Lui si sentiva morto?
E come può "sentirsi morto" se i "sensi" sono morti?
Lui vorrebbe morire ma finché combatte è costretto a vincere,tanto che poi l'unico modo di morire e farsi uccidere dal più forte ,cioè lui stesso,la sua forza.
Aveva terribilmente nostalgia della morte,della possibilità di una morte diversa.
Si è ucciso sperando una morte migliore.
Peccato...L'amore lo aspettava come un fiore di Okinawa lungo una stradina di sassi e polvere.
Ma era morto : lui,l'amore,il film.
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jean remi
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venerdì 27 dicembre 2013
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sonatine: il nichilismo esistenziale di kitano
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Takeshi Kitano, conosciuto anche con il nome d’arte di Beat Takeshi, regista, sceneggiatore, montatore e attore protagonista di questo suo film, raggiunge forse l’apice delle sue capacità cinematografiche proprio in “Sonatine” strano titolo che è riferito ai tre momenti filmici che contraddistinguono anche un’esecuzione musicale detta appunto “Sonatina”.
Murakawa, il protagonista, appartenente alla potente organizzazione criminale della Yakuza (generalmente definita in occidente mafia giapponese e diffusa in molti paesi dell’Asia come Corea del Sud, Cina, Filippine ed Indonesia), è stanco di condurre questa vita da malavitoso e pensa di darle una svolta lasciando tutto.
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Takeshi Kitano, conosciuto anche con il nome d’arte di Beat Takeshi, regista, sceneggiatore, montatore e attore protagonista di questo suo film, raggiunge forse l’apice delle sue capacità cinematografiche proprio in “Sonatine” strano titolo che è riferito ai tre momenti filmici che contraddistinguono anche un’esecuzione musicale detta appunto “Sonatina”.
Murakawa, il protagonista, appartenente alla potente organizzazione criminale della Yakuza (generalmente definita in occidente mafia giapponese e diffusa in molti paesi dell’Asia come Corea del Sud, Cina, Filippine ed Indonesia), è stanco di condurre questa vita da malavitoso e pensa di darle una svolta lasciando tutto. Ma deve, per incarico del suo capobanda, compiere un’ultima missione nel tentativo di riappacificare due “Kumi” (così si definiscono i vari gruppi violenti presenti all’interno dell’organizzazione).
La missione, condotta presso l’isola di Okinawa, di cui Kitano ci offre scorci stupendi delle spiagge, delle dune sabbiose e selvagge in riva a quel mare, che il regista evidentemente ama così tanto da proporlo in quasi tutti i suoi film, si rivelerà una trappola per ucciderlo.
In questo luogo quasi irreale, lasciando trascorrere il tempo tra giochi infantili e messinscena della propria morte, in attesa di abbandonare quest’oasi di felicità per tornare in un mondo violento e spietato, Kitano ci offre il meglio del film.
Sonatine, venne proposto in Italia ben 7 anni dopo la sua presentazione al festival di Cannes 1993, anno in cui risultò anche vincitore al festival di Taormina; forse giudicato troppo violento e sanguinolento, non fu distribuito nel nostro Paese ed il pubblico italiano non vide uno dei più grandi film degli anni ’90.
Tra i critici cinematografici “ufficiali” c’è chi ha ritrovato in questa pellicola l’arte cinematografica di Bresson, chi di Godard o di Antonioni; io ho solo visto l’originalità narrativa, che sfiora nel finale il nichilismo, di questo grande regista che ha successivamente riproposto in “Dolls”, del 2002 presentato a Venezia, che ritengo il film compendio della sua carriera cinematografica.
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viola96
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giovedì 15 settembre 2011
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sonate dolenti.
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Tracciare linee guida per questa immensa opera di Takeshi Kitano non è facile.Di certo si può partire dal titolo.La Sonatina è una forma di composizione musicale che indica letteralmente una piccola sonata. Questo termine non ha di per sé un significato rigoroso, ma è piuttosto applicato dal compositore ad un pezzo che conserva nella sua struttura la "forma-sonata" in maniera tecnicamente più elementare, meno impegnata formalmente e di minori dimensioni sotto un profilo temporale.Ha una struttura amletica,improbabile,metaforica,la sonata di Kitano,che si svolge tutta in uno spazio-tempo teoricamente fermo,e quindi decisamente più interessante e impossibile.
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Tracciare linee guida per questa immensa opera di Takeshi Kitano non è facile.Di certo si può partire dal titolo.La Sonatina è una forma di composizione musicale che indica letteralmente una piccola sonata. Questo termine non ha di per sé un significato rigoroso, ma è piuttosto applicato dal compositore ad un pezzo che conserva nella sua struttura la "forma-sonata" in maniera tecnicamente più elementare, meno impegnata formalmente e di minori dimensioni sotto un profilo temporale.Ha una struttura amletica,improbabile,metaforica,la sonata di Kitano,che si svolge tutta in uno spazio-tempo teoricamente fermo,e quindi decisamente più interessante e impossibile."Sonatine" non esiste,per definizione.Questo lo rende quindi maledettamente coinvolgente ed affascinante.Dopo una vita avventurosa e pericolosa, raggiunta ormai una certa agiatezza economica, Murakawa non vuole più condurre la vita degli yakuza ma il suo capo Kitajima lo costringe ad andare nella lontana isola di Okinawa per mettere fine ad una guerra tra bande rivali. Non appena arrivato Murakawa si rende conto che la sua presenza è stata interpretata come una provocazione dalla gang rivale per cui si scatena una serie di reazioni che avranno termine su una spiaggia assolata in cui sembra che il tempo si sia fermato.Esattamente,il tempo si è fermato.L'uomo che giunge sull'isola non è Murokawa,ma un suo eguale ed opposto,non il sanguinario killer a sangue freddo al soldo della yakuza,ma un uomo nuovo e teoricamente astratto."Sonatine",oltre ad essere uno dei film più belli e toccanti di Kitano,è anche uno dei più sconosciuti al pubblico,poichè il buon Takeshi dovrà ancora dare alla luce quella gemma che è "Hana Bi" e diventare famoso a livello mondiale.Una sonata dolente accompagna le melodie che portano dietro la vita e dentro essa di Hisaishi,mentre sullo schermo scorrono immagini di terrorizzante fantasia creativa.La poesia di Kitano,detto "Beat",in nome del suo passato da comico,è grossolana e deridente,a tratti satirica,ma passa buona parte delle sue possibilità ad attendere il colpo fatale,la fine della dolente sonata.Il sorriso di Kitano,colpevole un incidente motociclistico,sembra ghigni alla morte,o che ghigni proprio la morte.Probabilmente è da qui che parte il meta-cinema di Kitano,proprio da questo suo capolavoro.Partendo dall'analisi di una poetica dispotica,poco perbenista e attenta all'omologazione della violenza come unica forma di comunicazione possibile,Kitano riunisce cinema,musica e teatro in un'opera melodrammatica e carismaticamente pura,come se fosse una storia d'amore.Ma l'amore,in questa ennesima ballata di anime,poco c'entra.Anche se è proprio l'incontro con una donna che è stata stuprata,a fargli capire il senso puro della vita.Perchè Kitano distingue apertamente tra destino individuale e senso della vita.Bene,ora guardate bene questo film di Kitano,perchè è la quintessenza del suo cinema:C'è l'infanzia perduta de "L'estate di Kikujiro",la violenza pura di "Violent Cop",la filosofia di quello che sarà "Dolls",la paura illogica di "Boiling Point",la voglia di distruzione di "Takeshis'","Glory to the filmmaker" e "Getting Any?".Ma è sogno o realtà?Kitano risponde sorprendentemente "Cinema,brother,fratello".Come diceva in "Zatoichi" con un fare stralunato da uomo delle stelle,"Anche se avessi gli occhi spalancati non riuscirei a vedere".Qui anche la parabola di Murakawa,in un'epilogo geniale e devastante allo stesso tempo,in cui uno yakuza davanti all'imprevedibilità della vita,rimane in uno stato rarefatto e di calma invidiabile,e forse ricomincia finalmente a vedere.Per questo,d'ora in poi,il cinema di Kitano sarà con "Un certain regard",per chi,non ha mai visto bene o ha avuto paura di farlo.
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davide chiappetta
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giovedì 6 dicembre 2012
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potente gangster-movie esistenziale
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Assieme a 'Violent Cop' il capolavoro assoluto del geniale Takeshi Kitano, in seguito ha diluito il suo talento e non ha saputo più ripetersi, tant'è vero che il bellissimo 'Hana-Bi' sebbene il più premiato, a mio avviso non è altro che una fusione di questi due capolavori. Lucidissimo ed emozionante gangster-movie che si trasforma in un tenero e intimo dramma esistenziale, in cui la morte diventa una parte insopprimibile della vita, la quale non è che un avvicinamento, ludico, infantile, irresponsabile e per questo straziante. Aperto da un primo atto di lenta tensione, che approda a una parte centrale divertente e totalmente "surreale", finsce con un finale dolente e furioso che suggella un'idea di cinema e di mondo che non ha eguali; tre atti proprio come le tre parti che compongono una sonatina.
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Assieme a 'Violent Cop' il capolavoro assoluto del geniale Takeshi Kitano, in seguito ha diluito il suo talento e non ha saputo più ripetersi, tant'è vero che il bellissimo 'Hana-Bi' sebbene il più premiato, a mio avviso non è altro che una fusione di questi due capolavori. Lucidissimo ed emozionante gangster-movie che si trasforma in un tenero e intimo dramma esistenziale, in cui la morte diventa una parte insopprimibile della vita, la quale non è che un avvicinamento, ludico, infantile, irresponsabile e per questo straziante. Aperto da un primo atto di lenta tensione, che approda a una parte centrale divertente e totalmente "surreale", finsce con un finale dolente e furioso che suggella un'idea di cinema e di mondo che non ha eguali; tre atti proprio come le tre parti che compongono una sonatina.
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luca scialò
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sabato 17 luglio 2010
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uno yakuza che ghigna la morte
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Aniki Murakawa è uno yakuza che ha molto successo nel suo quartiere, facendo incrementare gli affari della famiglia di cui fa parte. Anzichè essere premiato dal suo Boss, però finisce per inimicarselo. Ma non ha fatto i conti con la sua freddezza, il suo saper beffare e ghignare la morte con rara capacità.
Quarto film di Takeshi Kitano, bravo come pochi a saper mescolare violenza e ironia. Ingredienti a cui sa aggiungere anche un sapore tragico
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blackredblues
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lunedì 24 ottobre 2011
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kitano non muore mai
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Storia di mafia giapponese, di guerre e di violenza, vendetta e tradimento. Non ho amato questo film e non sono un cultore del cinema nipponico. Tutto ciò che dirò sarà irrimediabilmente legato al mio punto di vista culturale un po' ottuso e refrattario. Tecnicamente le inquadrature sono statiche, l'uso della luce trasmette una certa piattezza alle immagini. Le atmosfere (un po' soporifere) ricordano molto quelle riscontrabili negli episodi del mitico Ispettore Derrick (che ha visto la luce negli anni '70 mi pare). Non mancano momenti di poesia un po' forzosa e forzata a mio parere perchè mai completamente integrata nello svolgimento di una trama a cui si ha l'impressione che manchino costantemente alcune specificazioni (chi? come? dove? perchè?).
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Storia di mafia giapponese, di guerre e di violenza, vendetta e tradimento. Non ho amato questo film e non sono un cultore del cinema nipponico. Tutto ciò che dirò sarà irrimediabilmente legato al mio punto di vista culturale un po' ottuso e refrattario. Tecnicamente le inquadrature sono statiche, l'uso della luce trasmette una certa piattezza alle immagini. Le atmosfere (un po' soporifere) ricordano molto quelle riscontrabili negli episodi del mitico Ispettore Derrick (che ha visto la luce negli anni '70 mi pare). Non mancano momenti di poesia un po' forzosa e forzata a mio parere perchè mai completamente integrata nello svolgimento di una trama a cui si ha l'impressione che manchino costantemente alcune specificazioni (chi? come? dove? perchè?). Ammetto che tale impressione può essere legata alla mancanza di conoscenza rispetto ai modi e alle regole della yakuza o ad una personale incapacità di creare le doverose connessioni ma fatto sta che il sentimento ricavatone è questo. I temi affrontati dal cinema nella sua accezione più generale e transculturale sono sempre gli stessi (volendo ridurre ai minimi termini gli argomenti di cui parla il cinema) ma, nel caso specifico, emerge di nuovo quella che io vedo come la riproposizione monolitica poco sfumata del tema dell'onore, della vendetta, dell'affrontare la morte a muso duro tanto cari al cinema giapponese (e forse alla sua cultura). L'idea che un occidentale ignorante come me si crea non è quella di un cinema povero di temi ma piuttosto di un cinema povero nel cogliere la 'diversità' introspettiva (tipica dell'essere umano occidentale?) rispetto a tali temi. La sensazione che ne deriva ha a che fare con qualcosa di meccanico e preordinato (ed univoco) a maggior ragione quando viene constatato l'epilogo. Pregevole l'interpretazione di Kitano, nel suo fisico dondolarsi tra un omicidio ed una battuta.
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