Agantuk

Un film di Satyajit Ray. Con Utpal Dutt, Dipankar Dey, Mamata Shankar, Dhritiman Chatterjee, Rabi Ghosh, Bikram Bhattacharya, Subrata Chatterjee, Promode Ganguly, Sourav Banerjee, Ajit Banerjee Drammatico, durata 120 min. - India, Francia 1991.
   
   
   

una polemica antimodernista in forma di commedia Valutazione 4 stelle su cinque

di carloalberto


Feedback: 51365 | altri commenti e recensioni di carloalberto
mercoledì 8 dicembre 2021

 Sotto le parvenze di una commedia brillante, ironica e divertente, si intravede l’urgenza di Satyajit Ray di comunicare attraverso il protagonista, lo zio giunto all’improvviso nella famigliola borghese di un funzionario di Stato, un messaggio antimodernista, venato da un amaro sarcasmo, di forte, violenta critica alla società del suo Paese ed al modo di vivere all’occidentale in voga nelle classi più agiate. Ultimo film del regista bengalese, che morirà un anno dopo averlo terminato, Agakunta è una sorta di inconsapevole testamento ideologico redatto in forma poetica, che lascia in eredità ai giovani del suo tempo la speranza di un possibile ritorno agli antichi valori, alle usanze degli avi, rappresentate nel canto della nipote del protagonista, che indossa un sari in contrapposizione al marito burocrate in giacca e cravatta, e nella danza tradizionale delle donne, rappresentata in una delle ultime sequenze, contro la barbarie della modernità.
La polemica antimodernista si spinge fino alla negazione del progresso come evoluzione culturale e così il protagonista celebra il bisonte dipinto nelle grotte di Altamira come inarrivabile espressione dell’arte pittorica ed esalta la vita tribale portandola come esempio di vera civiltà a confronto con quella attuale, caratterizzata dalle enormi disparità sociali, dalla povertà di ampie fette della popolazione, finanche nella opulenta America, prototipo della società del benessere, dalla diffusione delle droghe letali tra i giovani e dalla possibile distruzione globale ad opera di pochi uomini che detengono il potere di vita e di morte sull’umanità mediante la minaccia delle armi atomiche.
Il nomadismo, emblematicamente incarnato dal personaggio principale, instancabile viaggiatore, è indicato come unica via di salvezza per sfuggire antropologicamente all’ordine costituito e repressivo tipico delle società stanziali fin dai primordi.
Il film è improntato a quel realismo lirico che ha contraddistinto l’opera dei grandi poeti della celluloide del novecento, a prescindere dalla nazionalità, dalla latitudine e dal contesto sociale, che riprodussero la vita di tutti i giorni con quel minimalismo epocale, che fu di De Sica e Zavattini, Ozu e Kiarostami, in grado di rappresentare con la soave malinconia della elegia la sofferenza esistenziale dell’uomo moderno narrando piccole storie di gente comune.

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