Rosencrantz e Guildenstern sono morti

Un film di Tom Stoppard. Con Gary Oldman, Richard Dreyfuss, Tim Roth, Iain Glen, Ian Richardson.
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Titolo originale Rosencrantz and Guildenstern Are Dead. Commedia, Ratings: Kids+16, durata 117 min. - Gran Bretagna 1990. MYMONETRO Rosencrantz e Guildenstern sono morti * * * 1/2 - valutazione media: 3,72 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Finzioni... Valutazione 4 stelle su cinque

di ralfralf


Feedback: 100
domenica 14 novembre 2010

Orfani dell’attenzione di Shakespeare che li fa morire quasi distrattamente alla corte d’Inghilterra, R & G, in questa rivisitazione ironica e grottesca del dramma di Amleto,
sono strappati alla deriva di partecipazione e d’inerzia drammatica cui il testo li costringe e resi strumentalmente protagonisti, punto di vista attraverso il quale il regista
indaga e rilegge la struttura intima dell’opera del drammaturgo inglese, cercando di sostanziarne gli aspetti meno evidenti, le virtualità di senso più nascoste.
Operazione che il regista cerca di compiere sfruttando proprio questa fragilità, quest’assenza di polarità drammatica dei due ex amici d’università d’Amleto;
l’estraneità e la marginalità dei due personaggi gli consente, infatti, di accostarsi quasi surrettiziamente alle torbide vicende in svolgimento alla corte danese, dilatandone gli spazi, facendone paludi temporali da cui spiare brandelli di agito, nel tentativo di interrogare la vita e le sue pretese verità, confuse in un gioco perverso tra realtà e rappresentazione. Ma c’è una realtà o solo e unicamente una rappresentazione di essa?
 R & G si aggirano nelle stanze del Castello di Elsinore nell’evidente incapacità di dare un senso alla propria posizione ( perché sono lì, perché si trovano in quella situazione)
ed a quella degli altri, di percepire gli eventi, di interrogarli, di interrogarli, latori
di   un   razionalismo   caparbio   ancorché   insufficiente   ad interpretare, in  un  universo 
dove tutto ciò  che  si  mostra  è apparente.
Universo di rappresentazione quindi, denso di segnali contrastanti, dove il visibile è lontano
dal  verosimile, e dove provocatoriamente, l'unico  territorio praticabile è quello  della finzione.
Ed  è questo il crocevia fondamentale  del  film, laddove lasciate da parte le crisi esistenziali di Amleto, il regista  pone  l'accento  sul  significato  profondo  di  finzione, di  artificialità
sull'impossibilità  di identificarla, di  accertarne la   sua   stessa  essenza, essendo  la  vita   un’inscindibile sovrapposizione  tra realtà e sua raffigurazione, fluire  continuo d’enigmi, con cui ci si deve continuamente rapportare.
Queste    le   riflessioni   attraverso   cui   Stoppard    devia significativamente  dal testo classico, situando  conseguentemente il  centro  dell'azione  non più sul giovane principe  e  le  sue ambasce, ma sulla compagnia di attori venuti a corte per recitare le loro commedie.
Folletti turbolenti dell'ambiguità, guidati da un suadente e istrionico capocomico (uno splendido  R.Dreyfuss), che fanno da naturale contrafforte al cocciuto determinismo di R & G, in  un incontro / scontro che oltre a determinare il  senso  del film, ne  contiene anche le sue sequenze più belle.
E bellissima  è la  scena della rappresentazione teatrale, in cui i comici  mimano il    dramma    stesso   che   lì   si    sta  effettivamente vivendo, prevedendone gli sviluppi e i violenti risultati, davanti ad  un R & G sempre più straniati, incapaci di cogliere perfino  la premonizione   del   loro   tragico   destino. Giocata   in   modo distaccato, con    un    mirabile   equilibrio   tra    farsa    e lirismo, registro  comico  e drammatico, che peraltro  è  la  cifra stilistica  che informa tutto il film, la sequenza    propone  con  forza quello che è il tema centrale dell'opera: il rapporto realtà / finzione.
E lo  propone  rovesciandone  il  senso  normalmente acquisito: non è  più la  finzione  ad  inscriversi  nella  realtà ed esserne un suo corredato, ma il contrario, poiché  non  c'è realtà che non si palesi  attraverso  un  rapporto  mimetico, non c'è   verità   che   filtri  al  di fuori    della  finzione, qui trasgressivamente   recuperata   sia   come    massima    densità significativa, sia come un  mutamento  prospettico   fondamentale, che elidendo un concreto immediamente dato, stimola  la   ricerca, la costruzione di  configurazioni   originali,  in   sintesi, produzione  di  senso nuova.
Se tutto è nella parvenza, dunque tutto è rappresentazione, tutto, in ultima analisi, è teatro; fuori del suo linguaggio e  del  suo riverbero  significativo, si è fuori della Storia, non la si  può comprendere.
A  consegnare  R & G  ad  un   tragico  destino, non è Amleto, che li mette disinteressatamente  in  mano  ai  carnefici, ma quest’incomprensione, derivata da uno sguardo troppo   proteso all'immediatamente visibile, poiché l'eccesso di visibilità, porta inevitabilmente verso l'invisibile

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