Misery non deve morire |
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Un film di Rob Reiner.
Con Lauren Bacall, James Caan, Kathy Bates, Richard Farnsworth, Frances Sternhagen.
continua»
Titolo originale Misery.
Horror,
durata 105 min.
- USA 1990.
MYMONETRO
Misery non deve morire
valutazione media:
3,54
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Un romanziere salvato da un'infermiera psicotica!di Great StevenFeedback: 70023 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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lunedì 28 novembre 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
MISERY NON DEVE MORIRE (USA, 1990) diretto da ROB REINER. Interpretato da JAMES CAAN, KATHY BATES, LAUREN BACALL, FRANCES STERNHAGEN, RICHARD FARNSWORTH Il famoso scrittore Paul Sheldon, che deve buona parte della sua popolarità all’invenzione del personaggio di Misery Chastain, protagonista di una lunga e fortunatissima saga letteraria, vuole dirigersi al Creek Hotel per poter lavorare in pace sul suo nuovo romanzo, ma un’improvvisa bufera interrompe il suo viaggio su una strada di montagna e lo fa precipitare giù da una scarpata. Lo salva da morte certa, mentre ancora infuria la tormenta, la robusta infermiera Annie Wilkes, donna psicopatica (ma ancora Paul non lo sospetta) e sfegatata ammiratrice di Misery e in particolar modo del suo autore, che adora alla follia. Mentre l’agente di Paul contatta la polizia locale del piccolo villaggio vicino alla casa di Annie (che vive da sola, dopo l’abbandono dell’ex marito) per recepire informazioni di Paul, dato già per morto dalla stampa nazionale, lo scrittore si ritrova bloccato su un letto con le gambe steccate e un dolore lancinante che gli attraversa l’intero corpo. Sulle prime, è riconoscente ad Annie per averlo salvato, ma s’accorge poi che la donna soffre di gravissime turbe psichiche, soprattutto quando inizierà a torturarlo, costringendolo dapprima a bruciare il nuovo manoscritto, a lei inviso, e spezzandogli le ossa delle caviglie per impedirgli di fuggire dalla sua residenza. Perché Annie è talmente innamorata del suo romanziere preferito da renderlo suo prigioniero, a vita! Quando arriva lo sceriffo della contea a casa di Annie per indagare sulla misteriosa scomparsa dello scrittore, l’infermiera lo uccide. Paul, esasperato ma deciso più che mai ad uscire da quella prigione, termina la stesura del romanzo impostogli dalla stessa Annie per poi incendiarlo e farglielo ingoiare. Una volta uccisa la donna malata di mente, Paul è libero di tornare alla sua vita di sempre, per quanto i mesi passati rinchiuso in quel carcere forzato lo abbiano profondamente segnato. Fonte di ispirazione è il celebre romanzo horror, pubblicato nel 1987, dal re del brivido Stephen King, di cui Reiner adotta per la seconda volta un’opera letteraria, dopo il felice esperimento, nel 1986, di Stand By Me – Ricordo di un’estate, tratto dal racconto Il corpo, incluso nella raccolta Stagioni diverse (1982). Questo secondo tentativo è un passo indietro rispetto al precedente per lucidità di sguardo, controllo della materia narrativa e fedeltà alla pagina scritta, ma la conservazione della suspense e la riproduzione adeguata del fattore sorpresa gli regalano un effetto inquietante e impressionante che lo fa entrare di diritto fra gli imperdibili e ben fatti horror statunitensi degli anni 1980, al pari per esempio di Vestito per uccidere (1980, Brian De Palma). Il merito va soprattutto alla sceneggiatura, che ha saputo valorizzare la latente ma chiarissima follia dell’antagonista Annie Wilkes (una K. Bates al suo meglio, autoironica e perfida addirittura nei minimi dettagli, e giustamente premiata con un Oscar), cattivo decisamente anticonvenzionale e fuori dagli schemi, capace tanto di amare un mito quanto di torturarlo senza battere ciglio, ed entrambi i comportamenti volti allo scopo di trattenerlo presso di sé proprio per fondersi, in una sorta di devastante, pervasivo e malefico panismo, in un’unione incancellabile, al punto da desiderare una duplice morte, rigorosamente in coppia. Ma il copione, che ha solo il demerito di aver modificato alcuni aspetti del testo cartaceo, forse un po’ difficili e inadatti per il grande schermo ma di sicuro e diretto impatto scenico sulla pagina scritta, è riuscito pure ad entrare nella psicologia dello scrittore Paul Sheldon, in qualche modo uno dei numerosi alter ego di King, ormai stufo del personaggio (Misery) che l’ha consacrato alla fama nazionale, che vorrebbe far sparire, e che invece è costretto a far risorgere per volere della sua "ammiratrice numero uno", conscio sia degli oneri e onori del mestiere dello scrivere, sia del fatto che, in casi estremi, la salvezza possa essere peggio della morte, proprio come avviene a lui. La contrapposizione Caan-Bates, scelti ambedue con dovizia di particolari e con la faccia giusta per i caratteri che interpretano, è la decisiva carta vincente di un thriller mozzafiato che, a differenza di tanti altri omologhi, non si concentra eccessivamente sull’accumulo dell’orrore e della tensione, ma invece parte sereno e disteso per incresparsi al momento ideale ed esplodere con una violenza mai fine a sé stessa, bensì atta a distruggere il castello di certezze su cui si basa la vita del protagonista prima dell’incidente e dell’indesiderata e forzata prigionia nella casa della donna dalla mente malvagia. Si potrebbe affermare che lei ha un cervello affilato come un pugnale e lui un’inventiva smussata come un martello, ma alla resa dei conti è la seconda a prevalere, per quanto il primo riesca a tenerla sotto scacco per un lunghissimo periodo. Riuscita anche la performance di L. Bacall, molto meno stagionata e avvizzita di quanto si potesse credere, nei panni dell’agente letteraria di Paul Sheldon: misurata, sarcastica, materna, in un costante rapporto di gioioso motteggio con lo scrittore nel quale nutre fiducia, simpatia e numerose speranze, non solo di rimpinguare le proprie finanze.
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