ilaskywalker
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lunedì 30 gennaio 2012
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tra repulsione e sconfinata solitudine
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Trasposizione dell'omonimo romanzo di Paul Bowles, questa pellicola di Bertolucci è la perfetta reificazione della solitudine e di una vasta landa sconfinata ed assolata. Le vacanze in Africa (a partire da Tangeri) rappresentano un viaggio di formazione per Kit e Port, che provano a riscoprire sé stessi ed il loro rapporto. Ad una prima parte caratterizzata dalla stasi dello straniamento (circondati da personaggi della loro stessa nazionalità, ma invadenti ed equivoci) segue una seconda, di apice emotivo (consumata in una dimensione duale ed in una stanza spoglia), che involve fino a raggiungerne il grado zero, quello della rassegnazione e dell'abbandono interiore dopo l'abbandono altrui (la donna, rimasta sola dopo aver accudito il marito morente di tifo, si unisce passivamente ad una carovana tuareg).
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Trasposizione dell'omonimo romanzo di Paul Bowles, questa pellicola di Bertolucci è la perfetta reificazione della solitudine e di una vasta landa sconfinata ed assolata. Le vacanze in Africa (a partire da Tangeri) rappresentano un viaggio di formazione per Kit e Port, che provano a riscoprire sé stessi ed il loro rapporto. Ad una prima parte caratterizzata dalla stasi dello straniamento (circondati da personaggi della loro stessa nazionalità, ma invadenti ed equivoci) segue una seconda, di apice emotivo (consumata in una dimensione duale ed in una stanza spoglia), che involve fino a raggiungerne il grado zero, quello della rassegnazione e dell'abbandono interiore dopo l'abbandono altrui (la donna, rimasta sola dopo aver accudito il marito morente di tifo, si unisce passivamente ad una carovana tuareg).
I problemi comunicativi della coppia di coniugi trovano uno spazio per sciogliersi all'interno del problema comunicativo con l'esterno-estero: ciò che è straniero è infido ma anche seduttorio, come dimostra un curioso ed annoiato John Malkovich irretito dalla sensualità-simbolo di una prostituta africana, la quale però tenta di derubarlo. Il posto altro, fuori da noi, è molesto e 'malato' corporalmente, cosparso di mosche, organismo quasi in putrefazione da un lato (repulsione); asettico e sconfinato dall'altro (possibilità di ricostruire 'dal nulla', di ricominciare daccapo, nel deserto). Il deserto non è solo sfondo ma vero e proprio spazio scenico che nell'economia della storia veste un ruolo fondamentale di lontananza-vuotezza e soprattutto a livello scenografico: la fotografia di Vittorio Storaro (tre volte vincitore Oscar e spalla fissa di Bertolucci) è visivamente tangibile, veicolo di solitudine, basilare: il film stesso è una fotografia.Tuttavia il titolo originale prevede non il deserto ma il cielo: The Sheltering Sky, il cielo che offre riparo, altro elemento primigenio ed assoluto. Appare quindi evidente la condizione dell'essere umano che si stacca dalla compagnia (amorosa o amicale) e si annulla nel nulla di terra e cielo.
La famosa colonna sonora di Ryuichi Sakamoto (che vinse il Golden Globe nel '91) chiude come un nastro questa confezione di rarefatta bellezza e suggestione, che si conclude nella solitudine con cui era cominciata e con le parole dello stesso Paul Bowles narratore onnisciente seduto al tavolino di un bar affollato: "Poiché non sappiamo quando moriremo, siamo portati a credere che la vita sia un pozzo inesauribile. Però tutto accade solo un certo numero di volte, un numero minimo di volte [...] eppure tutto sembra senza limite.”
Non è un caso che l'amore rinasca e muoia dove tutto nasce: l'Africa, origine della specie.
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paolp78
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sabato 20 marzo 2021
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forma eccellente, ma poca sostanza
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Bernardo Bertolucci da pieno sfogo alla sua ispirazione poetica in quest'opera che rappresenta efficacemente il suo cinema dedicato alla ricerca dell'estetico e del bello.
La confezione è in effetti di alto livello artistico: le riprese sono di straordinario effetto visivo; su tutte si segnalano quelle nel deserto durante l'attraversata con la carovana di cammelli.
Le indimenticabili musiche di Sakamoto si sposano stupendamente con la poetica di Bertolucci, risultando adattissime ad esaltare il carattere tormentato dell'opera del maestro italiano.
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Bernardo Bertolucci da pieno sfogo alla sua ispirazione poetica in quest'opera che rappresenta efficacemente il suo cinema dedicato alla ricerca dell'estetico e del bello.
La confezione è in effetti di alto livello artistico: le riprese sono di straordinario effetto visivo; su tutte si segnalano quelle nel deserto durante l'attraversata con la carovana di cammelli.
Le indimenticabili musiche di Sakamoto si sposano stupendamente con la poetica di Bertolucci, risultando adattissime ad esaltare il carattere tormentato dell'opera del maestro italiano.
La cura formale ne risulta sublimata.
Il film è però molto lento e difficile. Come spesso avviene nella cinematografia d'essai, la pellicola tende ad essere eccessivamente concettuale, tralasciando di offrire una narrazione efficace e piacevolmente coinvolgente per lo spettatore, che difficilmente può riuscire ad immergersi totalmente nell'opera.
Gli eventi narrati non appassionano, come gli stessi personaggi che appaiono tutt'altro che accattivanti. La pellicola non si preoccupa affatto di compiacere le platee, pertanto non stupisce il ricorso a ritmi lenti e sequenze dilatate: in questo sta la cifra stilistica dell'opera, difficile da cogliere e da apprezzare.
Tutto sommato resta l'impressione di avere assistito ad un eccelso, ma vacuo esercizio di stile.
Le parti dei due protagonisti, una coppia di agiati americani alquanto snob, sono affidate a due grandi interpreti, John Malkovich e Debra Winger, che si mettono totalmente a disposizione del regista con due prove misurate ed intense al contempo.
Come di consueto nelle opere di Bertolucci ci sono varie scene di nudo, del tutto gratuite, ma mai volgari ovviamente.
Ottimi i dialoghi.
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gianpaolo
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martedì 21 febbraio 2006
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il tè nel deserto
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Siamo ben lontani dall'apice artistico del regista parmense,...il quale (a mio giudizio) ebbe inizio (dopo il promettente esordio in "La commare secca) con "Il conformista",..passando dal "La strategia del ragno" per arrivare allo stupendo affresco storico di "Novecento",..che lo consacra autore a tutti gli effetti,..ma che allo stesso tempo, purtroppo rappresenta una sorta di congedo creativo,....il quale viene testimoniato dalle successive pseudo-opere,...soprattutto da questo stucchevole "Il tè nel deserto",...autentica sorta di metaforico "specchio" di fronte al quale Bertolucci ha sfogato in tutta la sua interezza quella tipica forma narcisistica che talvolta avviluppa l'autore.
Il romanzo di Paul Bowles è stato (grazie all'ottimo Storaro),.
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Siamo ben lontani dall'apice artistico del regista parmense,...il quale (a mio giudizio) ebbe inizio (dopo il promettente esordio in "La commare secca) con "Il conformista",..passando dal "La strategia del ragno" per arrivare allo stupendo affresco storico di "Novecento",..che lo consacra autore a tutti gli effetti,..ma che allo stesso tempo, purtroppo rappresenta una sorta di congedo creativo,....il quale viene testimoniato dalle successive pseudo-opere,...soprattutto da questo stucchevole "Il tè nel deserto",...autentica sorta di metaforico "specchio" di fronte al quale Bertolucci ha sfogato in tutta la sua interezza quella tipica forma narcisistica che talvolta avviluppa l'autore.
Il romanzo di Paul Bowles è stato (grazie all'ottimo Storaro),...brillantemente tradotto in immagini,....ma presunzione, e manierismo fanno de "Il tè nel deserto", un insipido esercizio di stile.
Sono totalmente d'accordo con la recensione.
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