Nato il 4 luglio

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Un film di Oliver Stone. Con Tom Cruise, Willem Dafoe, Kyra Sedgwick, Raymond J. Barry, Tom Berenger.
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Titolo originale Born on the fourth of July. Drammatico, durata 144 min. - USA 1989. MYMONETRO Nato il 4 luglio * * * - - valutazione media: 3,39 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un'esperienza di veterano da lasciare senza fiato. Valutazione 3 stelle su cinque

di GreatSteven


Feedback: 70018 | altri commenti e recensioni di GreatSteven
martedì 20 giugno 2017

 NATO IL QUATTRO LUGLIO (USA, 1989) diretto da OLIVER STONE. Interpretato da TOM CRUISE, KYRA SEDGWICK, RAYMOND J. BARRY, CAROLINE KAVA, WILLEM DAFOE, JOSH EVANS, JERRY LEVINE, JAMIE TALISMAN, ANNE BOBBY, SAMANTHA LARKIN, TOM BERENGER, FRANK WHALEY, STEPHEN BALDWIN, TOM SIZEMORE, JOHN GETZ, DAVID WARSHOFSKY, LILI TAYLOR
Ron Kovic, uomo realmente esistito, è nato a Massapequa il 4 luglio 1946, nel giorno del centosettantesimo anniversario dalla Dichiarazione d’Indipendenza. Il film racconta quattordici anni nella sua vita: dal 1962, quando ascolta John Fitzgerald Kennedy alla televisione che invita i giovani della generazione pre-sessantottina a sacrificarsi combattendo per il proprio paese, al 1976, quando, reduce e veterano della guerra in Vietnam, si prepara a tenere un commovente discorso alla Convention Democratica davanti a tutta la nazione. In mezzo c’è tutto il suo percorso di reclutamento, abbruttimento, precipitazione, presa di coscienza, riscatto e riabilitazione: nel 1964, maggiorenne, decide di entrare nei Marines e partire per il fronte vietnamita con l’idea di sterminare il comunismo pericolante uccidendo i vietcong; nel 1967 (la trama è scandita temporalmente con una precisione quasi meticolosa) è ormai sergente dei Marines, conduce una pattuglia in esplorazione in un villaggio perso fra dune sabbiose, mare e intricata vegetazione e, durante la ritirata, ammazza per sbaglio il giovanissimo commilitone William Wilson, omicidio involontario sul quale rimuginerà, pentendosene, per tutta la vita; ritorna a casa nel 1969, paralizzato dal torace in giù per un proiettile conficcatogli nel piede, e riabbraccia i famigliari, contentissimi di rivederlo, ma in fondo anche profondamente costernati per la sua condizione di invalido. Ron rivede gli amici d’infanzia, riallaccia vecchi rapporti ormai sopiti, gioca fino a tardi a biliardo nei bar di provincia, litiga con chi consiglia di proseguire la "sporca guerra"che ha già sottratto all’America un’intera generazione di giovani coraggiosi e illusi, se la spassa con prostitute di madrelingua iberica, torna a casa a notte fonda ubriaco fradicio, si scontra con altri paralitici che al fronte hanno subito la sua stessa sorte (l’irascibile e violento Charlie), finché non comprende di aver scelto la strada sbagliata… ma, anziché tornare sui suoi passi e rinnegare semplicemente una decisione funesta, Ron sceglie di contrattaccare cambiando bandiera. E non come un qualunque voltagabbana. Si rende conto dell’inutilità di qualsiasi tipo di guerra, aborrisce il nazionalismo, denuncia gli orrori sviscerati ai danni di donne e bambini indifesi, si accorge delle enormi contraddizioni che hanno condotto gli USA nell’azione militare più spregevole ed egoista di tutta la loro Storia civile e militare. Ron Kovic si trasforma insomma in un paladino dei diritti civili, un pacifista a tutto tondo che racconta la propria esperienza di soldato in un libro autobiografico, un porta-bandiera della sofferenza umana e del diritto alla vita in una società che, nel tentativo maldestro e accanito di combattere il comunismo di matrice sovietica che vedeva riflesso in ogni anfratto dei paesi esteri, ha convinto le nuove generazioni di lottare per una giusta causa, affossandoli invece in un abisso di terrore, incomprensione, autolesionismo e impossibilità di riscossa. Il migliore film di Stone sul conflitto in Vietnam, decisamente una spanna abbondante sopra Platoon, uscito tre anni prima. Non a caso fu premiato con l’Oscar alla regia. Un’altra statuetta andò al montaggio, e si vede: sequenze dettate come una marcia militare, scandite una dopo l’altra con una connessione di idee rapida ed eloquente, il che dona alla trama una dinamicità sorprendente e le dona linfa vitale mediante i dialoghi. Ecco un ulteriore punto di forza di un documento storico che dice la verità e non nasconde le magagne burocratiche e soprattutto politiche di un sistema estremamente contradditorio, mutevole e arcigno: la sceneggiatura tende alla ripetizione utile e opportuna delle parole, la alterna ai silenzi scenici carichi di significato e poi ritorna all’invadenza del linguaggio parlato per approfondire con un’intensità molto penetrante i drammi interiori di tutti i personaggi, non solo il Ron di T. Cruise, qui alla sua prima, davvero indimenticabile prova recitativa sul grande schermo. È un’opera con tanti piccoli personaggi che trovano ognuno il proprio ideale veicolo espressivo: la signora Kovic di C. Kava, madre illuminata anche se religiosa in modo ossessivo; il padre di Ron (Barry), severo e ospitale; Donna (Sedgwick), l’amica d’infanzia di Ron e forse il suo unico e sincero amore mai confessato apertamente; Charlie (Dafoe), il paraplegico dalla parolaccia facile, dal cipiglio aggressivo e con tutti i vizi che si possono immaginare per uno costretto su sedia a rotelle; il sergente reclutatore che parla agli studenti universitari del durissimo mondo dei Marines, interpretato in una potente scena da un T. Berenger ispirato oltre ogni limite; e infine gli amici di sempre del protagonista, Timmy (Whaley) e Steve Boyer (Levine), studenti cresciuti nella mezza bambagia della generazione successiva a quella che aveva combattuto la Seconda Guerra Mondiale, pieni di opinioni sul mondo e sul combattimento armato, desiderosi e volenterosi riguardo ad un impegno militare, non persuasi fino in fondo della propria audacia e interiormente presi fra i due fuochi della pace da ricercare e della tensione internazionale necessaria. Il copione è tratto dal libro autobiografico di Kovic, che ne ha tratto l’adattamento insieme al regista. Stone trova qui la sua definitiva consacrazione, raccontando gli Stati Uniti recenti con un piglio documentaristico ma non troppo, che privilegia l’azione diretta senza però disdegnare mai l’impegnativa narrazione di dolori, guai e sofferenze, consegnando al pubblico di ogni paese (perché la chiave di lettura è universale, lo si voglia o no) un ritratto inquieto e mordente di un uomo comune che è partito con un determinato ideale e lo ha poi trovato mediante la strada del ripristinamento umano e civile, fallendo nella ricerca del successo attraverso la violenza e trionfando invece nella conquista di un ruolo fondamentale nell’accaparrarsi il pacifismo come filosofia e stile di vita. Nell’ultima parte, gli effetti speciali consentono di far apparire Cruise nelle medesime immagini del presidente Nixon, intenzionato a proseguire l’intervento militare in Asia sud-orientale malgrado le focose proteste degli hippies, i quali rivestono anch’essi una funzione importante nell’organico della storia: rappresentano, insieme ad altri caratteri minori (le prostitute con cui Kovic si diverte, gli ubriaconi macilenti dei locali notturni, gli oppositori dei comunisti che respingono i reduci indietro alle manifestazioni), la faccia più ovattata e rilassata della presa di coscienza contro l’utilizzo indiscriminato del potere a discapito delle classi sociali che più faticano a difendersi. La splendida colonna sonora firmata da John Williams accresce, anzi, completa nel modo più assoluto il tratteggio epico di questo piccolo capolavoro di genialità creativa e denuncia socio-politica. 

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