Harry ti presento Sally

Irene Bignardi

Avendo visto, sei anni dopo il primo incontro con Harry, ti presento Sally..., la deliziosa commedia sentimentale di Billy Chrystal Forget Paris, avendo superato (per merito della sua intelligenza) una fondamentale antipatia fisica per l’attore e regista Chrystal, e avendo apprezzato la finezza di trattamento dei sentimenti postconiugali del film, mi viene da chiedermi se e quanto Billy Chrystal abbia contribuito alla costruzione delle situazioni e delle idee di Harry, ti presento Sally... La cui sceneggiatura asprigna e non consolatoria è invece firmata da Nora Ephron, che, da regista in proprio, si butterà nella deliziosa melassa di Insonnia d’amore (1993). E allora?
Harry, ti presento Sally... è una commedia sentimentale dell’età della crisi, quando dalla libertà assoluta di quella che andò sotto il nome di “californication” (e che veniva praticata anche a New York, a Chicago, a Kalamazoo e dove vi pare...) si entrò nella stagione dell’Aids, della diffidenza, del non coinvolgimento o dell’eccessivo coinvolgimento delle fedeltà profilattiche.
Tutto questo si sente - ma non si dice - nella commedia di Rob Reiner, che segue una coppia (di cui sappiamo benissimo che finiremo per festeggiare l’unione finale) attraverso gli incontri che il caso scandisce con perfetta regolarità sull’arco degli anni, dal 1977 al 1987.
Harry e Sally (Billy Chrystal e Meg Ryan), rispettivamente consulente politico e giornalista (ma lo sappiamo solo perché lo dicono) si conoscono casualmente, si rivedono cinque anni più tardi all’aeroporto, si riincontrano in una libreria al compiersi del decennio... e ci mettono ancora un po’ per capire che sono fatti l’uno per l’altra. In mezzo hanno amato e detestato altre persone, sono rimasti soli con qualche malinconia, sono diventati diffidenti e paurosi di un altro rapporto che possa finire male un’altra volta. E, al contrario che nelle favole rosa e nella tradizione dei colpi di fulmine, l’amore arriva come byproduct - o derivato - dell’amicizia: un’affermazione quasi audace in un cinema segnato in questi anni da attrazioni fatali, proposte indecenti, basic instincts, e storie che durano più o meno nove settimane e mezzo, ma al calor bianco.
Il film di Reiner è un incanto di humour civilmente rispettoso degli spettatori e dei personaggi, e sollecita una serie di non banali interrogativi sulla moderna educazione sentimentale, a cui la semplice risposta è che sì, si può essere amici, ma l’amore, soprattutto se lentamente costruito, è meglio.
Harry, ti presento Sally... è confezionato al meglio che possa offrire Hollywood: la bella Manhattan autunnale è esaltata dalla fotografia di Barry Sonnenfeld (che sarà poi il regista dei due film dedicati alla famiglia Addams), la sceneggiatura (che ha vinto un Oscar) ha il giusto tono agrodolce. Chrystal non è simpatico (nessuno è perfetto) ma è perfetto. Meg Ryan fa meno boccucce del solito: in ogni caso le viene perdonato qualche manierismo per come, seduta al tavolo di un ristorante, sotto gli occhi di tutti, simula un orgasmo. Scena da antologia come la battuta che la chiude - “Cameriere, porti anche a me quello che ha dato alla signorina” -, ma anche zampata alle sempreverdi illusioni maschili, piccola lezione sull’arte di mentire e strizzata d’occhio a un cinema - quello del partito “sexy” - che si sente obbligato a tutto mostrare.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996


di Irene Bignardi, 1996