Irene Bignardi
La Repubblica
Le donne poliziotto sono sempre un po’ più interessanti dei loro colleghi maschi, una delle categorie più affollate dello schermo, se non altro perché è interessante la contraddizione tra l’ipotetica tenerezza del sesso debole e lo strumento della violenza, che è parte integrante del mantenimento dell’ordine.
Spettacoloso, ambiguo, elegantissimo è l’incipit di Blue Steel - Bersaglio mortale. Kathryn Bigelow ha un talento visivo notevolissimo, che le deriva almeno in parte dalla sua formazione come pittrice, e un altrettanto notevole senso del ritmo cinematografico. Nella sequenza iniziale, tarata sul blu-grigio dell’acciaio (il “blue steel” del titolo) che è anche il colore della pistola di ordinanza della polizia di New York, si prepara a prestare giuramento Jamie Lee Curtis, che si va rivestendo della divisa come - si parva licet - il pontefice del Galileo di Brecht si rivestiva dei paramenti, allontanandosi dal personaggio individuale per incarnare un ruolo, una funzione.
Ma le cose per la giovane poliziotta non vanno benissimo. Nel corso di una rapina in un supermarket, in un primo momento deve fare i conti con il terrore che la paralizza. Poi, forse per una reazione eccessiva alla paura, impallina senza complimenti il rapinatore, e si fa mettere sotto inchiesta dai suoi superiori che giudicano il suo comportamento troppo disinvoltamente sbrigativo. Anche perché è sparita la pistola del rapinatore ucciso.
Gli spettatori sanno che l’arma è stata presa da uno dei presenti alla rapina, Ron Silver, agente di borsa ricco, yuppie e - chissà perché - seducente. Siccome le regole dei noir sono sempre le stesse e Kathryn Bigelow è brava ma non ancora abbastanza, non ci vuol molto per capire che gatta ci cova, e che il maniaco che la perseguita non è tanto lontano. E l’entrata in scena di Ron Silver, con quella sua aria da marpione levantino, non giova al film, di cui spreca tutta l’ambiguità sbattendoci in faccia un’attrazione fatale di maniera e parallelismi tra la Smith & Wesson e la potenza sessuale che fanno ormai solo sorridere.
Ma Kathryn Bigelow, nonostante le scorciatoie e le 0vvietà del copione, ha un occhio e un ritmo magistrali: l’unica regista donna che gira come un uomo, dicono tutti. Non so se sia un complimento, ma forse qualche volta sì.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996
di Irene Bignardi, 1996