andrea
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lunedì 29 settembre 2008
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un altro allen (parte 1)
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Una cinquantenne professoressa di filosofia sembra esser contenta di sé fino al giorno in cui, trovandosi accidentalmente ad ascoltare le sedute psicoanalitiche di una donna più giovane di lei a fianco al suo appartamento, si ritrova a fare un bilancio della sua vita, scoprendo di non essere una persona soddisfatta come invece credeva. Col passare del tempo, comincerà ad origliare le dichiarazioni della donna della porta accanto, rispecchiandosi pian piano nelle confessioni di quella sconosciuta, che però le ricorda tanto se stessa da giovane, insieme al lungo elenco di rancori: l'aver rinunciato a grandi e sincere passioni in cambio di una vita cinica e costruita sulla routine insieme ad un borghesotto, l'aver voltato le spalle all'esperienza della maternità, e l'essersi allontanata dalle persone più care, come il fratello.
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Una cinquantenne professoressa di filosofia sembra esser contenta di sé fino al giorno in cui, trovandosi accidentalmente ad ascoltare le sedute psicoanalitiche di una donna più giovane di lei a fianco al suo appartamento, si ritrova a fare un bilancio della sua vita, scoprendo di non essere una persona soddisfatta come invece credeva. Col passare del tempo, comincerà ad origliare le dichiarazioni della donna della porta accanto, rispecchiandosi pian piano nelle confessioni di quella sconosciuta, che però le ricorda tanto se stessa da giovane, insieme al lungo elenco di rancori: l'aver rinunciato a grandi e sincere passioni in cambio di una vita cinica e costruita sulla routine insieme ad un borghesotto, l'aver voltato le spalle all'esperienza della maternità, e l'essersi allontanata dalle persone più care, come il fratello. Parte così la sua ricerca del tempo perduto, delle occasioni sprecate. La critica cinematografica si è scagliata contro questo film, così come una parte di pubblico, perché lo ha ritenuto eccessivamente bergmaniano. In pratica, chi ha poco amato questo film ha fatto questo "sillogismo": a) Bergman gira dei drammi, b) Allen ama Bergman, c) pertanto, se Allen si azzarda a fare un dramma, lo fa alla Bergman. Ebbene, bisognerebbe andare oltre queste considerazioni superficiali e analizzare nello specifico questo film frainteso e sottovalutato. Allora, cosa c'è di Bergman in quest'opera? Innanzitutto il direttore della fotografia, Sven Nykvist, grande collaboratore del regista svedese, che mediante la luce riesce a riflettere magistralmente nell'ambiente lo stato d'animo dei personaggi che vi agiscono. Ma non bastano le luci di Nykvist a rendere un film "alla Bergman", né qualche primo piano preso in prestito dal maestro, perché Allen continua a preferire i piani medi ai primi piani, come negli altri suoi film. Non lascia, quindi, che il suo stile si contamini del tutto con quello di un altro regista, al di là di alcune citazioni evidenti. Poi, di Bergman c'è il tema della maschera - che noi tutti indossiamo nel "teatro della vita" - in particolare in quella che è una delle sequenze più riuscite e emotivamente disarmanti di tutto il film: la protagonista entra, durante un suo sogno, all'interno di un teatro dove stanno mettendo in scena momenti della sua vita, compresi quelli lasciati sfuggire. E' arrivato il momento di ricominciare da capo, e in questo c'è una nota di speranza, rappresentata appunto dal quadro di Klimt "Speranza", che più volte compare nel corso della pellicola. Guardando questo film non si ha affatto l'impressione di guardare un film di Bergman, ma Allen allo stato puro, deviato in versione "dramma" e non commedia. Ma cos'avrà mai da copiare al grande cineasta svedese un genio della sua portata? Più che copiare altri registi, gli basterà guardare alla sua vita, e non è un caso se la protagonista è cinquantenne come lo era lui stesso quando ha girato questo film. Il solito discorso dei veri autori che parlano sempre di loro stessi, in un modo o nell'altro. Questo è semplicemente un altro Allen, ma sostanzialmente sempre lo stesso, con la solita ricerca di un senso da dare ad una vita che non ne ha, di quell'abbaglio di gioia per riuscire a fermarsi un attimo e poter dire di essere felici. Sua è anche la constatazione che non siamo altro che la somma delle nostre scelte, ripresa poi nel capolavoro "Crimini e Misfatti" (girato, non casualmente, l'anno successivo).
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andrea
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lunedì 29 settembre 2008
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un altro allen (parte 2)
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Sono sempre le usuali riflessioni di un autore che a volte le prende con un divertentissimo umorismo, altre con una coloritura drammatica. Ma sempre di lui si tratta. I riflessi bergmaniani del film sono più un omaggio che un plagio (anche nel meraviglioso "Io e Annie" Woody interagiva con i suoi ricordi come se ci entrasse dentro, e quello era un prestito da Bergman). Dopotutto, così come gli spettatori hanno i loro autori preferiti, lo stesso Allen ha i suoi, ed è inevitabile che ne sia fortemente ispirato, soprattutto se si avvicina al tipo di storie che quegli artisti raccontano, senza per questo peccare di mancata originalità, anzi, si può dire che alla base di tutto, c'è il suo tipico stile di sceneggiatura - lontano dall'angoscia e dalla silenziosa intensità bergmaniana - puntuale e preciso, che ci regala un film pensato, ben costruito, tecnicamente maturo e denso di significato, accompagnato da una malinconica e deliziosa colonna sonora, e da grandi interpretazioni, da quella della Rowlands, a quella del freddo inglese Ian Holm, a quella del passionale Gene Hackman.
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Sono sempre le usuali riflessioni di un autore che a volte le prende con un divertentissimo umorismo, altre con una coloritura drammatica. Ma sempre di lui si tratta. I riflessi bergmaniani del film sono più un omaggio che un plagio (anche nel meraviglioso "Io e Annie" Woody interagiva con i suoi ricordi come se ci entrasse dentro, e quello era un prestito da Bergman). Dopotutto, così come gli spettatori hanno i loro autori preferiti, lo stesso Allen ha i suoi, ed è inevitabile che ne sia fortemente ispirato, soprattutto se si avvicina al tipo di storie che quegli artisti raccontano, senza per questo peccare di mancata originalità, anzi, si può dire che alla base di tutto, c'è il suo tipico stile di sceneggiatura - lontano dall'angoscia e dalla silenziosa intensità bergmaniana - puntuale e preciso, che ci regala un film pensato, ben costruito, tecnicamente maturo e denso di significato, accompagnato da una malinconica e deliziosa colonna sonora, e da grandi interpretazioni, da quella della Rowlands, a quella del freddo inglese Ian Holm, a quella del passionale Gene Hackman. A un cinquantenne questo film probabilmente dà sensazioni molto diverse da quelle che può dare a un ventenne, perché lo porterebbe a tirare le somme e a domandarsi se è realmente appagato dagli anni che ha vissuto. Nel caso che non sia così, non è ma troppo tardi per cambiare strada e ricominciare. A un ventenne, invece, non può far altro che spronare a fare le scelte giuste, delle quali non si debba, un giorno, pentire. Provare rancore è indubbiamente più doloroso dell'aver rischiato.
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paride86
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mercoledì 10 novembre 2010
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incantevole
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Dai chiari rimandi bergmaniani, "Un'Altra Donna" è una perla del cinema di Woody Allen. Delicato, intimo, sofisticato e molto profondo, è un film che si fregia di una bellissima interpretazione della grande Gena Rowlands.
Da vedere.
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antowella
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lunedì 18 gennaio 2016
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cinema ed inconscio
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Nel 1988 Woody Allen dirige "Un'altra donna" , probabilmente uno dei film più fortemente introspettivi della sua lunga e brillante carriera. Mi sento di consigliarlo a tutti coloro che lavorano nell'ambito della psicologia e nei suoi più vicini dintorni, ma più in generale a chiunque abbia voglia di vedere un film di spessore e che lasci degli interrogativi sulla propria esistenza, che faccia riflettere sulla difficoltà di dialogare con la propria coscienza e sui disastrosi danni che questo mancato dialogo può provocare. W. Allen lascia che sia la protagonista, Marion, a presentarsi allo spettatore. Dalle sue parole traspare una forte razionalità ed una totale mancanza di emotività ( "quando ho compiuto 50 anni a chi mi avesse chiesto di fare un bilancio della mia vita, avrei detto di aver raggiunto un'accettabile grado di soddisfazione, e come persona, e come professionista").
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Nel 1988 Woody Allen dirige "Un'altra donna" , probabilmente uno dei film più fortemente introspettivi della sua lunga e brillante carriera. Mi sento di consigliarlo a tutti coloro che lavorano nell'ambito della psicologia e nei suoi più vicini dintorni, ma più in generale a chiunque abbia voglia di vedere un film di spessore e che lasci degli interrogativi sulla propria esistenza, che faccia riflettere sulla difficoltà di dialogare con la propria coscienza e sui disastrosi danni che questo mancato dialogo può provocare. W. Allen lascia che sia la protagonista, Marion, a presentarsi allo spettatore. Dalle sue parole traspare una forte razionalità ed una totale mancanza di emotività ( "quando ho compiuto 50 anni a chi mi avesse chiesto di fare un bilancio della mia vita, avrei detto di aver raggiunto un'accettabile grado di soddisfazione, e come persona, e come professionista"). Un giorno, per scrivere con più tranquillità si trasferisce in un appartamento adiacente ad uno studio psichiatrico. Da un condotto di aerazione arrivano distinte le voci dei pazienti durante le loro sedute, e Marion ne è inizialmente infastidita. E' solo quando sente la voce di una donna che disperata confessa di sentirsi completamente persa, che la sua attenzione si ravviva. Attraverso le parole di questa donna Marion pian piano prenderà coscienza della sua situazione, e dolorosamente farà i conti col suo passato e col presente, che è stato solo la conseguenza inevitabile delle sue scelte e del suo comportamento. Avendo lasciato l'emotività sotterrata in fondo a se stessa, Marion ha vissuto facendo scelte solo con la testa, e mai con il cuore, e vivere così - erigendo continuamente alti muri per difendersi dalle emozioni - porta ad una lenta e metodica distruzione di se stessi. Attraverso una serie di geniali escamotage il regista ci porta a conoscere sempre più profondamente il vissuto di questa donna che, come ognuno di noi, posside nelle sue profondità un vasto oceano di contraddizioni e di bellezza. Conosceremo il suo doloroso passato, la vedremo attanagliata dai sensi di colpa nei confronti delle persone a lei più care, e piegata dai rimpianti per aver rifiutato l'amore vero, la vera passione che dà un senso alla vita. Un film con fortissimi echi Bergmaniani (ma volutamente), dialoghi ben costruiti e trovate oniriche straordinarie e commoventi. Lo stra-consiglio a chiunque abbia voglia di un film che lasci qualcosa!
" Mi chiesi se un ricordo è qualcosa che hai, o qualcosa che hai perduto."
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fedeleto
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giovedì 13 settembre 2012
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allen,un altro regista..
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Dopo l'ingiusto insuccesso di Settembre ,Il buon Woody Allen torna con un film estremamente affasciante e diverso dagli altri:UN'ALTRA DONNA.Marion e' una professoressa universitaria di filosofia,e dedica la sua vita all'arte e al sapere.Quando sta per scrivere un romanzo viene attratta da una voce che esce da un condotto d'aria di casa sua dove sente una giovane donna che racconta la sua vita ad uno psichiatra.Da quel momento ne rimane fortemente appassionata e colpita.Gradualmente capira' che l'altra donna e' un suo doppio in cui proietta le sue angosce esistenziali,dall'aborto subito in giovane eta' perche' non voleva un figlio dal professore con cui aveva avuto una storia,alla sua amica di adolescenza che le ricorda come Marion fosse stata con lei ingiusta portandole via il ragazzo anche se lei non se ne era mai accorta,al suo uomo che la tradisce prima di sposarsi,in tutto questa c'e' un silenzio logorante dove l'altra donna appunto e' la voce,e forse non capiremo mai se il ricordo e' qualcosa che abbiamo o che abbiamo perso per sempre.
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Dopo l'ingiusto insuccesso di Settembre ,Il buon Woody Allen torna con un film estremamente affasciante e diverso dagli altri:UN'ALTRA DONNA.Marion e' una professoressa universitaria di filosofia,e dedica la sua vita all'arte e al sapere.Quando sta per scrivere un romanzo viene attratta da una voce che esce da un condotto d'aria di casa sua dove sente una giovane donna che racconta la sua vita ad uno psichiatra.Da quel momento ne rimane fortemente appassionata e colpita.Gradualmente capira' che l'altra donna e' un suo doppio in cui proietta le sue angosce esistenziali,dall'aborto subito in giovane eta' perche' non voleva un figlio dal professore con cui aveva avuto una storia,alla sua amica di adolescenza che le ricorda come Marion fosse stata con lei ingiusta portandole via il ragazzo anche se lei non se ne era mai accorta,al suo uomo che la tradisce prima di sposarsi,in tutto questa c'e' un silenzio logorante dove l'altra donna appunto e' la voce,e forse non capiremo mai se il ricordo e' qualcosa che abbiamo o che abbiamo perso per sempre.Allen e' straordinario,dopo Interiors e Settembre con cui aveva affrontato quel tema dell'esistenzialismo,ora porta a termine questa trilogia esistenzialista con indubbia capicita' espressiva e tecnica.Per molti il film e' solo un mix di pellicole Bergmaniane,a tal proposito non si puo' discutere su alcune sequenze simili alle pellicole del regista svedese,ma sfugge a molti che il soggetto e la sceneggiatura sono di Allen oltre la regia ,e che la pellicola scorre magistralmente con una Gena Rowlands(Gloria,la notte della prima,una moglie) ottima.Ma oltretutto il film affronta un tema molto particolare,quella della solitudine e della maschera(da notare il regalo che fa' Marion giovane al suo amante professore)che ognuno porta nella sua vita e solo quando il tempo passa si arriva ad un limite in cui l'interrogarsi diventa la piu' grande e importante necessita'.Marion e' una donna sola ,senza un vero scopo,vive forse come la pantera nella poesia di Rilke,in una gabbia senza uscita,ma pirandellianamente quando i suoi ricordi marcati nelle foto riprenderanno vita(ottime le sequenze in cui appunto la foto prende vita)allora forse attraverso un rivivere si arrivera' a vivere e placare quel spirito guerriero che entro rugge(Foscolo)necessario pe poter affrontare ancora una volta il proprio destino.Uno degli Allen migliori in assoluto,che eguaglia Interiors o settembre.Peccato che i critici parlino a vanvera.
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stefano capasso
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mercoledì 16 dicembre 2015
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guardarsi per svelare gli inganni
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Con l’intento di trovare la migliore concentrazione per completare il suo ultimo libro, Marion una donna di mezza età, prende in affitto un appartamento a Manhattan dove potersi isolare e lavorare meglio.
Nella casa accanto c’è lo studio di uno psicoterapeuta e le pareti sottili le permettono di ascoltare le conversazioni con i pazienti. Dopo un primo tentativo dii migliorare l’isolamento della casa comincia ad affezionarsi alla vicenda di una donna che racconta le sue vicende.
Inizia anche per lei un percorso di rivisitazione della sua vita, che va di pari passo a quello della donna che è in terapia. In particolare è il suo matrimonio che viene messo in discussione. Ora è consapevole che qualcosa non funziona.
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Con l’intento di trovare la migliore concentrazione per completare il suo ultimo libro, Marion una donna di mezza età, prende in affitto un appartamento a Manhattan dove potersi isolare e lavorare meglio.
Nella casa accanto c’è lo studio di uno psicoterapeuta e le pareti sottili le permettono di ascoltare le conversazioni con i pazienti. Dopo un primo tentativo dii migliorare l’isolamento della casa comincia ad affezionarsi alla vicenda di una donna che racconta le sue vicende.
Inizia anche per lei un percorso di rivisitazione della sua vita, che va di pari passo a quello della donna che è in terapia. In particolare è il suo matrimonio che viene messo in discussione. Ora è consapevole che qualcosa non funziona.
Woody Allen ci accompagna con insoliti toni rigorosi con la voce narrante della protagonista, nel suo percorso che parte dall’infanzia e che arriva al momento presente. Sarà una strada dolorosa che farà emergere le finzioni e le convenzioni che rivolge per prima a se stessa e che la costringono ad una vita infelice. Accettare di svelarsi, di guardarsi dentro le darà una nuova possibilità di vita
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francesco2
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domenica 26 settembre 2010
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un'altro allen?
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Esistono indubbiamente accuse di "Bergmanismo" rivolte al regista di Manhattan, che riguardano - che io sappia- film come "Interiors". Ma mi chiedo, per quel poco che ne sappia, se siano osservazioni giuste. Ma è poco, appunto.
Piuttosto, forse, bisognerebbe domandarsi se sia un caso che questo film sia stato girato l'anno precedente di "Crimini e misfatti". E' come se l'Allen anni '80, famoso per film come "La rosa purpurea del Cairo", e che quindi forse non gode della fama di regista "Esistenzialista", cedesse il passo ad un uomo che si pone problemi sull'esistenza (In generale) e sulla sua visione de da parte di chi non è più giovane(Sarà un caso, ma l'ottimo Martin Landau, in "Crimini e misfatti", è praticamente coetaneo del protagonista di "Basta che funzioni").
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Esistono indubbiamente accuse di "Bergmanismo" rivolte al regista di Manhattan, che riguardano - che io sappia- film come "Interiors". Ma mi chiedo, per quel poco che ne sappia, se siano osservazioni giuste. Ma è poco, appunto.
Piuttosto, forse, bisognerebbe domandarsi se sia un caso che questo film sia stato girato l'anno precedente di "Crimini e misfatti". E' come se l'Allen anni '80, famoso per film come "La rosa purpurea del Cairo", e che quindi forse non gode della fama di regista "Esistenzialista", cedesse il passo ad un uomo che si pone problemi sull'esistenza (In generale) e sulla sua visione de da parte di chi non è più giovane(Sarà un caso, ma l'ottimo Martin Landau, in "Crimini e misfatti", è praticamente coetaneo del protagonista di "Basta che funzioni").
L'"altra donna" del film, ufficialmente, si rinchiude nella casa per scrivere un romanzo. Ma il contatto con l'"Altro"( glielo impedisce: la Rowlands, dunque, trova elementi diversi in ciò che è (relativamente) lontano da lei(!), vale a dire le confessioni di una perfetta sconosciuta stile "Confidenze troppo intime", ma più approfiondite, e contemporaneamente dentro sé stessa, perché in un momento in cui voleva , forse, isolarsi da sé stessa, scrivendo un "Romanzo", sarà costretta come non mai ad interrogarsi su di lei, causa la "presenza" di un elemento esterno. Il film, dunque, rappresenta un viaggio nella diversità: da un lato il contatto, doloroso, tra due soggetti destinati a non incontrarsi mai, dall'altro il conflitto(?) tra la parte razionale e l' inconscio, che porterebbe a galla parti di noi che non possiamo o vogliamo vedere( Vi dice nulla quell'"incontro" onirico con una giovane, che nella sua sofferenza rischia di procurare gioia lla protagonista? Come dobbiamo interpretarlo, e perché proprio Klimt?).
Se però il film appare lontano, forse molto lontano, almeno dai momenti migliori di "Crimini e misfatti", é perché manca spesso il coraggio di fidare situazioni consolidate, ricorrendo nella sostanza ad elementi abusati come la gelosia dell'amica, giusta o sbagliata, vera o sognata che sia, il matrimonio che funiona poco, ecc. Se invece ci si fosse spinti oltre, come nel citato sogno con la ragazza, a livello sostanziale il viaggio della protagonista(Passato- presente, realtà-sogno, avrebbe assunto contorni più imprevedibili, e la forma ne avrebbe anch'essa guadagnato: non un'approccio semi- teatrale, come avverrà anni d opo nel desolante "Melinda e Melinda", dove io mi ricordo quasi solo dell'attrice):.Del resto, non credo sia casuale che il teatro ad un certo punto "Entri", credo, come elemento del film: una sfida nella sfida, ove alle fusioni già esposte sia ggiunge quella, riuscita così e così, tra due forme diverse di espressione artistica.
Un finale comunque non stupidamente ottimista: la donna smbra aver (ri) trovato sé stessa, in un "Tragitto" curioso che ricorda quello del bellissimo "Amore molesto", dove però il nostro Martone sfoderava ben altra profondità.
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