Ishtar

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Le disavventure di un progetto Valutazione 3 stelle su cinque

di Gianni Lucini


Feedback: 29144 | altri commenti e recensioni di Gianni Lucini
mercoledì 28 settembre 2011

È il 1985 quando Elaine May propone per la prima volta a Warren Beatty l’idea di un film d’azione ispirato ad Avventura al Marocco, (Road to Morocco), il terzo di sette lungometraggi comici d’avventura interpretati dalla coppia formata da Bob Hope e Bing Crosby. La May pensa che il film possa fare da traino a una lunga serie imperniata su una coppia di improbabili e poco dotati cantautori la cui principale caratteristica è quella di mettersi nei guai. L’ipotesi è quella di affidare a Beatty la parte che nella serie originale era di Bob Hope, quella del pasticcione, ingenuo e confusionario. L’idea entusiasma l’attore e conquista anche il suo agente Bert Fields presente al colloquio. Per vestire i panni dell’altro componente della coppia, quello più disincantato e donnaiolo in origine interpretato da Bing Crosby sia la May che Beatty decidono di coinvolgere Dustin Hoffman. Quando la sceneggiatura è pronta tocca a Bert Fields il compito di convincere la Columbia Pictures a produrre il film. Il compito non è semplice. L’idea di avere sullo stesso set tre maniaci perfezionisti come la May, Beatty e Hoffman suscita notevoli perplessità sulla riuscita dell’impresa. La più discussa è la regia di Elaine May, conosciuta nell’ambiente per la sua indifferenza nei confronti dei problemi finanziari, per non rispettare i tempi di lavorazione, per la volubilità nell’organizzazione del set e soprattutto per la caratteristica di “sforare” con una certa facilità i limiti di budget. Alla fine di una lunga ed estenuante trattativa la determinazione di Warren Beatty vince le resistenza della Columbia. Nel mese di ottobre del 1985 si inizia a girare e cominciano i guai. Elaine May, colta da un parziale ripensamento, decide di riscrivere alcune parti e sospende la lavorazione per tre mesi. Il ritardo provoca l’abbandono del set da parte del direttore della fotografia Giuseppe Rotunno, costretto a mantenere altri impegni. Al suo posto arriva Vittorio Storaro. Non mancano poi altre costose scelte di regia come quando la May rifà per una cinquantina di volte la scena in cui Beatty e Hoffman cantano Since we left ‘nam o fa spianare due chilometri quadrati di dune del deserto per ottenere l’orizzonte di ripresa che lei ritiene più adatto. Terminate le riprese anche la fase di post-produzione si rivela complicata e lunga. Il materiale girato è moltissimo, circa 108 ore di riprese, più del triplo di quanto normalmente accade per una commedia. Inizia così un lungo e controverso lavoro di montaggio complicato dai continui interventi, previsti dal contratto, dei due attori, oltre che della regista. Dopo vari rinvii Ishtar, la cui uscita era prevista per il periodo natalizio del 1986, arriva nelle sale soltanto il 22 maggio 1987, cioè due anni dopo il primo ciak. È costato cinquanta milioni di dollari e si conquista il non invidiabile primato di “commedia più costosa della storia del cinema”. Trattato male dalla critica al momento della sua uscita nel corso degli anni si è trasformato in un cult amatissimo da registi come Quentin Trantino ed Edgar Wright. La proposta di interpretare Ishtar arriva a Dustin Hoffman in un momento particolare della sua carriera. L’attore infatti è stato per un po’ di tempo fuori dal giro intenzionato a prepararsi nel miglior modo possibile a interpretare The yellow jersey, un pluriannunciato kolossal di Michael Cimino sull’epopea del Tour de France. Per entrare meglio nella parte si è addirittura sottoposto a lunghi allenamenti in bicicletta. Tramontato il progetto accoglie con entusiasmo la proposta di lavorare in coppia con Warren Beatty in una commedia avventurosa. Il personaggio di Chuck gli piace e l’unica preoccupazione che ha è quella di farlo “suo” senza assomigliare troppo a Bing Crosby, il modello originario da cui ha tratto spunto la May. Hoffman evita eccessivi approfondimenti psicologici attingendo al suo bagaglio tecnico per caratterizzarlo nelle diverse situazioni. La stessa Elaine May, consapevole delle qualità artistiche dei due protagonisti preferisce non “dirigerli”, lasciandoli liberi di arricchire l’azione con le loro performance. Questa scelta, condivisa dai due attori, finisce per diventare un limite. Se in qualche sequenza (come la canzone dedicata agli arzilli vecchietti che stanno celebrando l’anniversario del matrimonio o l’arrivo imprevisto e trionfale nel locale in cui Lyle sta rischiando un clamoroso insuccesso) il suo tocco geniale regala colpi d’ala al film in qualche momento eccede nelle caratterizzazioni diventando eccessivamente caricaturale. Senza la guida accorta e ferrea della regista non c’è una vera integrazione tra lui e Beatty. Più che una coppia i due sembrano solisti in perenne concorrenza sulla scena e poco disposti a fare da spalla l’uno all’altro. Questo conflitto non dichiarato appare in tutta evidenza nelle scene delle esibizioni canore dove i due si rincorrono in una sorta di gara di tecnica espressiva ma nelle quali la mancanza di equilibrio “brucia” spesso le gag sul nascere.

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