Possession |
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Un film di Andrzej Zulawski.
Con Isabelle Adjani, Sam Neill, Heinz Bennent, Margit Carstensen, Carl Duering.
continua»
Titolo originale Possession.
Horror,
durata 127 min.
- Francia 1981.
MYMONETRO
Possession
valutazione media:
3,00
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Because you say "i" for me (2)di ugogigioFeedback: 728 | altri commenti e recensioni di ugogigio |
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lunedì 24 febbraio 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
(continua)la Libertà e l’Esistenza, facendo leva su un visionario isterismo stilistico condotto all’insegna dell’eccesso e dell’esasperazione del mezzo. La struttura del film, dispersiva, ridondante e proprio per questo affascinante e al contempo funzionale ai propri scopi, ha come cuore e centro teorico-programmatico lo straziante monologo in cui Anna, guardando in macchina, esplicita la dimensione filosofica del film, che in tutta la prima parte era rimasta in filigrana. Strabilianti le soluzioni registiche dalle angolature deformanti e inusuali, che producono effetti di grottesco straniamento e allucinazione, così come la massima cura della messa in scena e della fotografia, in cui predominano tinte fredde virate al grigio-blu. In effetti il colore dominante dell’intero film è in assoluto il blu, esplorato in tutte le sue sfumature e associato in particolare all’eburneo candore dell’incarnato di Anna, Madonna del dolore che viene così a richiamare proprio l’iconografia della Vergine Maria, di cui in sostanza non rappresenta altro che un corrispettivo negativo: è per suo tramite infatti che il principio metafisico del Male, l’Anticristo, si fa carne, e in più momenti si accenna alla presenza di Dio in lei. Altro motivo centrale è poi quello del doppione, del doppelgänger, per cui nel finale Anna e Mark saranno sostituiti dai rispettivi doppi complementari, l’immacolata maestra di scuola dagli occhi di smeraldo e il malvagio gemello-figlio dal sorriso beffardo: elemento che va ad accrescere ulteriormente il fascino e la complessità di un’opera che offre svariati livelli d’interpretazione (metafisico, esistenziale, psicologico, storico-politico ecc...), apparendo quasi conclusiva, riassuntiva di tutto ciò di cui il cinema può e potrà mai parlare, e conservandosi però refrattaria a qualsiasi tentativo di sviscerarne in modo univoco e assolutamente soddisfacente tutta l’eterogenea congerie delle sue componenti. Possession è altresì un susseguirsi ininterrotto di scene dal devastante impatto visionario e dalla forza esasperata. I furiosi scontri tra Sam Neill e Isabelle Adjani sono qualcosa di magistrale sul piano di recitazione, scrittura e coreografia; la scena della metropolitana è di un delirio e di un’angoscia difficilmente eguagliabili; l’impotenza degli sguardi rivolti da Anna al crocifisso, da cui non riceve alcuna risposta, e la balbettante sconnessione del suo monologo stringono il cuore; la scena della lezione di danza riesce a suscitare un senso di insopportabile disagio e oppressione dove non dovrebbe esserci; straziante è anche la morte di Anna e Mark in cima alla scala a chiocciola, e il finale mette la pelle d’oca: il bambino preveggente e “luccicante” che corre a rifugiarsi nella vasca avvertendo di non aprire la porta, mentre le luci si sovraespongono facendo brillare gli occhi verdi dell’alter ego benefico di Anna, la sagoma dell’Anticristo che emerge dal vetro della porta alle sue spalle, i boati dell’imminente deflagrazione della Terza Guerra Mondiale che crescono in sottofondo. Vergognoso il trattamento riservato a un capolavoro simile nelle varie versioni tagliate, rimontate e riscritte per effetto di una miope e quanto mai ottusa censura, compresa quella italiana di 80 min, in cui lo svilimento e la banalizzazione dell’originale a semplice storia di possessione demoniaca fanno più pena che rabbia. 10
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