I cancelli del cielo

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Si perde tra le sottane della Huppert Valutazione 3 stelle su cinque

di carloalberto


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giovedì 21 gennaio 2021

 I cancelli del cielo appartiene a quella parte della cinematografia americana che, senza retorica e senza timore reverenziale, ha rievocato il passato della propria nazione, collocandosi idealmente accanto a capolavori girati con lo stesso sguardo critico, ultroneo dire assente in Italia verso il Risorgimento, come Piccolo grande uomo e Dodici anni schiavo. Cimino così aggiunge un altro tassello alla non tanto illustre storia del paese a stelle strisce, nato dal genocidio dei nativi americani, arricchitosi sulla pelle degli schiavi neri ed infine, come mostra il film, spietato e crudele persecutore degli immigrati europei, provenienti negli ultimi decenni dell’ottocento in gran parte dell’Europa dell’est, rei di voler coltivare la terra, acquistata regolarmente dal governo, sottraendola di fatto ai fertili pascoli delle grandi famiglie lobbiste degli allevatori di bestiame.
Dopo un inizio folgorante che introduce suggestivamente lo spettatore nell’ambiente dei giovani rampolli delle classi agiate dell’America del 1870, nel giorno di festa della loro laurea ad Harvard, in cui si celebra la fine degli studi e l’ingresso nella società degli adulti, grazie alla spettacolarità delle sequenze girate a Cambridge, con la macchina da presa, collocata al centro del grande piazzale dell’università, che ruota su se stessa, accompagnando e mimando il vorticoso turbinio delle coppie danzanti sulle note di uno spumeggiante valzer e le inquadrature nostalgiche degli ultimi giochi goliardici, gioiosi e violenti dei maschi, mentre alla finestra, fino a tarda notte, le ragazze guardano divertite, il film si infila, inopinatamente, nel letto di una prostituta sui generis, interpretata da una sofisticata Huppert, improbabile nei panni di una meretrice, e la vicenda rimane invischiata, è il caso di dire, per interminabili minuti, vista la durata del film nella versione  director’s cut, nei patemi d’animo e nei dilemmi amorosi della giovane maitresse, indecisa tra due spasimanti, il killer a pagamento, al soldo delle famiglie di allevatori, Christopher Walken, reduce dall’oscar per il più fortunato dei film di Cimino, Il Cacciatore, e lo sceriffo della contea, il musicista country Kris Kristofferson,dalle capacità attoriali non proprio all’altezza del suo estro di cantautore di successo.
In sospeso resta l’affresco corale, appena abbozzato, della vita cittadina dell’epoca, con la ferrovia che porta il treno nel mezzo della città, con la nube di vapore nero che appesta l’aria vergine ed incontaminata Wyoming, bellissimo nella fotografia di Zsigmond, con le polverose strade affollate di migranti ed i bambini issati su poveri carretti sospinti a forza di braccia tra gli insulti dei passanti, appartenenti alla schiera delle prime ondate migratorie di inizi ottocento. La guerra tra poveri scatenata ad arte dalle ricche famiglie di allevatori, tra poveri mandriani e contadini neo insediati sfocia nello scontro armato tra le due fazioni. Il classico carosello attorno ai mercenari della lobby degli allevatori spalleggiati dalle complici autorità governative, con contadini, bottegai ed artigiani al posto degli indiani, risolleva un poco le sorti del film. Nel complesso la pellicola si rivela lenta, prolissa e noiosa, nonostante il cast, nel quale figura, in una particina, anche un giovane,Mickey Rourke e la magistrale interpretazione del dandy americano, che si trova suo malgrado al centro della battaglia, di John Hurt.
Il finale, che si discosta di molto dalle vicende dei personaggi leggendari cui si ispira il film, Ella Watson e Jim Averill,  che fecero entrambe una brutta fine, ambientato su un piccolo e lussuoso yacht, con un invecchiato e malinconico Averill, alias Kristofferson, sopravvissuto alla donna amata, in compagnia ora di un elegante dama della sua età, propone allo spettatore,i ntorpidito da un’estenuante visione durata più di tre ore, un grosso punto interrogativo sul significato da attribuire a quest’ultima scena, che ovviamente, causa sfinimento, si lascia in sospeso come domanda retorica o enigma da risolvere per i cinefili del futuro.
 

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