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Un bellissimo film-documentario sulla carriera di uno dei più grandi piloti di Formula Uno di tutti i tempi. Juan Manuel Fangio, argentino di Balcarce, vincitore di cinque titoli mondiali in un'epoca dove il valore della vittoria andava ancora ripartito nella misura di 50% al pilota e 50% alla macchina, come era solito dire Enzo Ferrari. Innanzitutto una premessa: altre opere di questo tipo peccano spesso di una celebrazione eccessiva del protagonista, qua siamo invece di fronte ad un'opera di rara pulizia narrativa nella quale il Fangio "attuale" (inizio anni '80) compare di volta in volta a ricordare e spiegare, a volte con aneddoti curiosi, le imprese che lo hanno portato a essere amato ed acclamato dalle folle di tutto il mondo. Non c'è mai enfasi nelle sue parole, il colloquio con l'intervistatore è sempre amichevole e cordiale e, altro fatto importante, la voce fuori campo è discreta e si limita a narrare la storia in modo semplice e corretto. Il merito è senza dubbio del regista (Hugh Hudson), che ha saputo dosare in maniera perfetta le immagini d'archivio, il commento del protagonista e le immagini recenti (ad esempio quando Fangio torna alla guida delle sue vetture), che volutamente rimangono tali, per non confondersi con quelle "vintage". Dagli inizi in Argentina con una vecchia Chevrolet modificata per correre nelle "carrettere" fino al 1957, l'anno del suo quinto e ultimo titolo mondiale, vinto con una gara straordinaria sul circuito del Nurburgring, la pista più difficile e selettiva, 23 km di curve, dossi, discese, rettilinei da 300 km/h dove lui, con la Maserati dell'anno prima, riuscì a battere i due piloti ufficiali Ferrari (Hawthorn e Collins). Proprio a riguardo di quella gara Fangio disse poi in seguito - "Mentre guidavo e correvo rischi di molto oltre il limite decisi che, dopo quella corsa, non avrei mai più guidato in quel modo per il resto della mia vita" - Tra le sequenze si possono citare quando il pilota riuscì a passare indenne tra il groviglio di macchine alla curva del "tabaccaio" a Montecarlo, aiutato da una fotografia vista il giorno prima. E quando riprende il volante dell'Alfetta F.1 in un circuito di Monza deserto. Lui, la vettura, il rombo del motore e nient'altro... Con perizia e precisione millimetrica spiega poi la dinamica della tragedia di Le Mans nel '55, dove la Mercedes di Levegh, dopo un urto, esplose uccidendo molti spettatori. Dunque si parla anche di piloti che hanno pagato il prezzo più elevato chiesto dalla loro passione. E qua la voce di Fangio diventa malinconica, ricordando Alberto Ascari, Musso, Collins e il giovane Onofre Marimon, argentino anche lui. Altre sequenze importanti sono sempre girate a Montecarlo, durante il GP del 1971. Si riconoscono Stewart con la moglie Helene, Hulme, Ickx, Beltoise, Regazzoni, De Adamich mentre si mette guanti e casco, Reine Wisell. Il pilota che esce dalla sua suite già in tuta e con il casco in mano è invece Francois Cevert, noto all'epoca anche per avere avuto un flirt con Brigitte Bardot... Fangio poi confronta la posizione di guida delle moderne vetture con quelle dei suoi tempi, e qua prende un posacenere al bar per dare la sua personalissima spiegazione. Un grande Fangio anche quando esce da una curva in controsterzo con la Lancia-Ferrari messa a disposizione per le riprese. Le immagini rallentate consentono di apprezzare i movimenti delle mani sul volante. Per gli appassionati questa è una delle migliori opere disponibili. - di "Joss" -
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