signora aby
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giovedì 8 dicembre 2011
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prova d'orchestra. allegoria di una società
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In un auditorium settecentesco fondato dentro un convento sconsacrato, dell’antico prestigio non vi è più alcuna traccia. Un gruppo di orchestrali raccogliticcio e caciarone si aggira tra arredi impolverati e mura pericolanti. Minacciato da una ristrutturazione dell’organico, il sodalizio umano e strumentale comincia a steccare e la struttura vacilla. A ristabilire l’armonia ci prova un direttore d’orchestra tedesco che, di fronte alle difficoltà del compito, ricorda i tempi in cui tra maestro e musicisti c’era un rapporto profondamente empatico.
La situazione produce una clamorosa stonatura. Sregolatezza e indisciplina regnano sovrane e fan da cornice a scene di gruppo in un crescendo da bolgia dantesca.
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In un auditorium settecentesco fondato dentro un convento sconsacrato, dell’antico prestigio non vi è più alcuna traccia. Un gruppo di orchestrali raccogliticcio e caciarone si aggira tra arredi impolverati e mura pericolanti. Minacciato da una ristrutturazione dell’organico, il sodalizio umano e strumentale comincia a steccare e la struttura vacilla. A ristabilire l’armonia ci prova un direttore d’orchestra tedesco che, di fronte alle difficoltà del compito, ricorda i tempi in cui tra maestro e musicisti c’era un rapporto profondamente empatico.
La situazione produce una clamorosa stonatura. Sregolatezza e indisciplina regnano sovrane e fan da cornice a scene di gruppo in un crescendo da bolgia dantesca. Ogni suonatore sta aggrappato al proprio strumento come a un relitto e qualche istante prima del naufragio affida a poche confuse battute l’esperienza di una vita. Quando l’anziano custode chiama il maestro per riprendere le prove, il caos si è ormai sostituito all’ordine. Al buio, scortato da un traballante candeliere, il maestro entra in un salone completamente messo a soqquadro, dove la furia del baccanale ha quasi raggiunto il suo apice. Mentre risuonano colpi sempre più cupi e l’intonaco cade, ricoprendo tutto di una polvere sottile e inesorabile, tra volti spiritati, al grido di «a morte il direttore», fa il suo ingresso un gigantesco metronomo, feticcio del tempo con cui s’intende sostituire l’autorità umana. Ma neppure questo tempo artificialmente ed estemporaneamente ricomposto è destinato a durare. Una sfera enorme, surreale rappresentazione di una pendola che irrompe sulla scena come un ariete, abbatte le pareti dell’auditorium e mette fine al disordine, frantumando e disperdendo il tempo soggettivo della rivolta. Attoniti e ammutoliti gli orchestrali brancolano in mezzo alle macerie in cerca dei loro strumenti. Il momentaneo vuoto di potere e lo stordimento causato dalla distruzione permettono al direttore di recuperare la propria posizione dominante. «Voi siete musicisti e siete qui per suonare». Tutto ricomincia nella convinzione che ognuno debba onorare il proprio ruolo se non si vogliono creare strappi violenti, e quindi lo sfaldamento dell’intera collettività.
Eterno dilemma dell’uomo: ribellarsi o aggrapparsi alle risicate e spesso illusorie sicurezze con cui chi lo governa tenta da sempre di adescarlo? In questa geniale e attualissima “prova” felliniana ci sono tutti gli ingredienti di una allegoria sociale che dal teatro antico al rinascimento, fino all’esperienza delle moderne dittature non ha mai smesso di interrogarci.
Claudia Ciardi, dicembre 2011
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paolo 67
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domenica 6 maggio 2012
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continuiamo a lavorare
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Fellini nonostante l'educazione sua e del popolo italiano, di cui ha mostrato i risultati, ha (come avevano capito gli amici, da Pasolini a Ugo La Malfa) un'autentica coscienza democratica, e ha capito e raccontato gli italiani meglio di tanti politici (che in genere apprezzarono questo film), giornalisti, critici cinematografici. Fellini è originale e unico, inassimilabile al cinema “politico”. In lui, l'individuale riecheggia nel collettivo in una specie di sincronicità junghiana, con la pregnanza dei simboli. L'Italia di PROVA D'ORCHESTRA è forse la peggiore di tutte quelle da lui rappresentate: divisa su tutto, rissosa, in preda ai particolarismi, destinata a ritrovare un'unità solo attraverso la tragedia.
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Fellini nonostante l'educazione sua e del popolo italiano, di cui ha mostrato i risultati, ha (come avevano capito gli amici, da Pasolini a Ugo La Malfa) un'autentica coscienza democratica, e ha capito e raccontato gli italiani meglio di tanti politici (che in genere apprezzarono questo film), giornalisti, critici cinematografici. Fellini è originale e unico, inassimilabile al cinema “politico”. In lui, l'individuale riecheggia nel collettivo in una specie di sincronicità junghiana, con la pregnanza dei simboli. L'Italia di PROVA D'ORCHESTRA è forse la peggiore di tutte quelle da lui rappresentate: divisa su tutto, rissosa, in preda ai particolarismi, destinata a ritrovare un'unità solo attraverso la tragedia. La dittatura, a cui già gli Italiani soggiacquero come Fellini ha così bene raccontato in AMARCORD, è in agguato conseguente alla catastrofe portata dalla degenerazione della democrazia attraverso la demagogia, il ribellismo ideologico irrazionale e alla confusione: ignavia e insubordinazione sono pronti a diventare timorosa riverenza (come Fellini ha descritto mirabilmente in una esemplare sequenza all'inizio di ROMA). Questo presunto individualista apolitico ha una consapevolezza sociologica (vedi LA DOLCE VITA) cui si farà riferimento per capire l'Italia del passato e del presente come si fa oggi coi più grandi autori classici nella scoperta della loro attualità dopo anni (e a volte secoli) di oblio (come avviene in tutte le arti, pensiamo alla musica con modernità di Bach considerato dai contemporanei un passatista e trascurato nell'800, nel '900 uno degli ispiratori del jazz, nel quale affonda le radici la musica rock).
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angelino67
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giovedì 26 maggio 2016
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divisi su tutto, uniti dalla tragedia
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A chi non ha mai visto questo film, consiglio se possibile di guardarlo di notte, come per ogni altro film di Fellini. Di notte i film di Fellini acquistano una dimensione particolare. L'ideale sarebbe che il film finisca mentre fuori si approssima l'alba. Dopo "La dolce vita", se escludiamo "Satyricon" "Amarcord" e "Casanova", che raccontano il passato, Fellini fa un film (anche) politico che affronta direttamente il presente; una allegoria della società italiana in un momento critico che é stata variamente interpretata, anche dai politici invitati alla prima del film al Quirinale. Il film piacque molto a Pertini, come al vecchio amico di Fellini Ugo La Malfa, segretario del PRI, che vi vedeva l'estremo appello di una coscienza democratica.
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A chi non ha mai visto questo film, consiglio se possibile di guardarlo di notte, come per ogni altro film di Fellini. Di notte i film di Fellini acquistano una dimensione particolare. L'ideale sarebbe che il film finisca mentre fuori si approssima l'alba. Dopo "La dolce vita", se escludiamo "Satyricon" "Amarcord" e "Casanova", che raccontano il passato, Fellini fa un film (anche) politico che affronta direttamente il presente; una allegoria della società italiana in un momento critico che é stata variamente interpretata, anche dai politici invitati alla prima del film al Quirinale. Il film piacque molto a Pertini, come al vecchio amico di Fellini Ugo La Malfa, segretario del PRI, che vi vedeva l'estremo appello di una coscienza democratica. Andreotti, allora presidente del Consiglio, ne ha elogiato quella che trovava una morale edificante: la canea non é costruttiva, ognuno suoni il proprio strumento, accetti il proprio ruolo. Una posizione tutto sommato conservatrice, che del resto Fellini non ha mai negato, affermando che la trasgressione, la ribellione in cui si riconosceva e cui appartenevano gli eroi (o meglio gli antieroi) dei suoi film non era quella politico-rivoluzionaria: "I cortei, il chiasso, i botti, mi danno fastidio". L'aria di restaurazione non piacque al Presidente della Camera Pietro Ingrao, del PCI, che venne contraddetto però dal compagno di partito Antonello Trombadori per il quale il film era una doverosa risposta ai movimenti del '68 e del '77, alle responsabiità disgregative, antiprofessionali e distruttive della rivolta giovanile. A Igor Markevich, il grandissimo direttore d'orchestra ucraino naturalizzato italiano (ma rimasto sempre molto legato ai sovietici) che pare ispirò a Fellini la figura del protagonista, il film non piacque per nulla: "Se Fellini ha mai visto un'orchestra, non ha capito niente". In effetti Fellini non era musicofilo, l'orchestra lo interessava solo come campionario di umanità. Il segretario della UIL Giorgio Benvenuto non vide nel film una posizione antisindacale, anzi una condanna di una svolta autoritaria. Anche il pittore comunista Renato Guttuso difese il film, che considerava il capolavoro di Fellini. Il regista insisteva di aver raccontato una favola, e infatti il tono del film é assolutamente onirico, siamo in una dimensione interiore, ancor più che in "La dolce vita", e il finale inaspettato (che Fellini pensò all'ultimo momento e che, a dimostrazione di come egli indagasse a fondo l'animo umano, non mancò chi lo elogiò alla lettera) rimescola le carte in maniera genialmente contraddittoria, ribadendo scetticismo e pessimismo e insieme lasciando un discorso aperto. A molti non piacque che il film riscuotesse tanti consensi nel mondo della politica; Fellini venne accusato di qualunquismo e, cosa non nuova, di regressione. Eppure, proprio nella estrema sinistra criticata nel film si distinse una illuminante interpretazione: "Prova d'orchestra é il gioco di un homo ludens, un gioco arguto e penetrante, con riccioli di ingenuità e di amore di un uomo che, attaccato a un palloncino, ci guarda e ci riprende con una cinepresa magica, il cui obiettivo dà alla realtà i tratti e le forme del sogno" (R. Antonella, "Lotta Continua"). Se il film é stato chiarificatore, evocando lutti e tragedie e purtroppo profetizzandone altri, ci si smarrisce - per usare le parole di Fellini - nelle interpretazioni di ciascuno, che proietta nel film stesso e su quanto gli sta attorno quello che ha dentro.
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