Gian Luigi Rondi
Il Tempo
Pupi Avati uno e due. Il primo è quello del cinema, che, dagli esordi, ci racconta le favole ghiotte o assorte o incantate della sua infanzia agreste emiliana. Il secondo è quello della televisione, che ripercorre, attraverso cronache più recenti, l’itinerario autobiografico dell’adulto approdato nelle grandi città. Il film di oggi appartiene all’Avati uno ed è di certo, tra quelli di questa cifra, il più lirico, il più ispirato, il più magico.
Ci porta alla fine del Settecento, anzi no, a metà dell’Ottocento, in una zona dell’Emilia padana ai confini col Veneto in cui un cantastorie ammazzatopi, nipotino quasi certo del Pifferaio di Hamelin, ci racconta una favola del Settecento popolata da gente che fra loro (ed a noi) si raccontano altre favole. [...]
di Gian Luigi Rondi, articolo completo (5065 caratteri spazi inclusi) su Il Tempo 3 maggio 1980
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