L'albero degli zoccoli |
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Un film di Ermanno Olmi.
Con Carlo Rota, Luigi Ornaghi, Francesca Moriggi, Omar Brignoli, Antonio Ferreri.
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Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 175 min.
- Italia 1978.
MYMONETRO
L'albero degli zoccoli
valutazione media:
4,11
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Batistì abbatte un tronco per il bene del figlio.di Great StevenFeedback: 70023 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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mercoledì 22 luglio 2020 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
L'ALBERO DEGLI ZOCCOLI (IT, 1978) di ERMANNO OLMI ● Biennio 1897-98 ambientato nella campagna della bassa bergamasca: la vicenda è costruita attorno alle azioni corali di una piccola comunità di contadini che lavora a mezzadria un podere, compiendo duri sacrifici e affrontando dolori lancinanti, ma sempre senza perdere una grande dignità: nonno Anselmo che, insieme alla nipotina Bettina, raccoglie lo sterco delle galline per concimare le sementi di pomodori che, coadiuvate dalla neve invernale, germoglieranno prima e permetteranno loro di vendere gli ortaggi in piazza con due settimane d’anticipo rispetto agli altri agricoltori; il Finard che, durante una sagra di paese dove si organizza pure un congresso socialista, fra giostre e giochi di quartiere, trova per caso un marengo d’oro, lo nasconde sotto lo zoccolo della sua cavalla e se la prende infine furibondo con l’animale perché la crede responsabile della sua sparizione; il matrimonio fra Maddalena e Stefano, celebrato dal sacerdote della parrocchia al mattino presto affinché i due giovani sposi possano raggiungere un convento di Milano in cui abita una zia suora di lei che affida loro un bambino di dodici mesi da crescere; e soprattutto il simpatico e quieto Batistì, che diventa padre per la terza volta e arriva a tagliare un albero lungo un fossato per fabbricare col suo legno un paio di zoccoli al figlioletto Minek che ha appena iniziato a frequentare le elementari, gesto che costa a lui e a tutta la famiglia la cacciata definitiva dal podere. Solenne e sereno, grave e al contempo lieve come le musiche di Bach che lo accompagnano, il nono film di E. Olmi è – insieme a Novecento (1976) di Bernardo Bertolucci che è il suo opposto – il più grande film italiano degli anni ’70, e l’unico, forse, in cui si riscontrano i fondanti temi virgiliani di labor, pietas, fatum. Non apprezzato alla totale unanimità quando uscì, il film fu bersagliato da critici che gli rimproverarono una rappresentazione idealizzata perché troppo lirica, la cancellazione della lotta di classe, una rarefazione spiritualistica del contesto sociale. Senza dubbio il regista, al versante ombroso dell’universo agreste (grettezza, violenza, odi feroci, tirannia), ha dedicato una parte piuttosto modesta della sua attenzione narrativa, ma è altrettanto vero che, adempiendo al suo desiderio di dipingere l’affresco puntuale di un’epoca con tutte le contraddizioni e la permeante sofferenza del caso, Olmi non ha tradito sé stesso né la sua pietas. È stato sicuramente anche il metodo più opportuno con cui il regista nostrano col maggiore attaccamento sentimentale alle tematiche geologiche e del settore primario, è riuscito a canalizzare il suo fiato ed estro poetico nella rievocazione efficacissima delle storie narrategli dai nonni sulle fatiche titaniche che i contadini di fine 1800 assolsero per consentire al lavoro di trasformarsi nel valore costitutivo dell’allora lontana (ma non troppo, sul piano ideologico delle persone comuni) repubblica italiana. Il sonoro originale fu poi doppiato dagli stessi attori protagonisti non professionisti che si espressero in una forma dialettale più tendente all’italiano. Ne circolarono copie con sottotitoli per le conversazioni più ostiche. Smerciato in circa ottanta nazioni. Palma d’oro e Premio Ecumenico a Cannes 1978. Premio César per il migliore film straniero.
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