Suspiria

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Un film di Dario Argento. Con Flavio Bucci, Alida Valli, Stefania Casini, Jessica Harper.
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Horror, Ratings: Kids+16, durata 97 min. - Italia 1977. - Cat People uscita lunedì 12 febbraio 2024. MYMONETRO Suspiria * * * * - valutazione media: 4,08 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

La bellezza di un sospiro Valutazione 5 stelle su cinque

di Filippo di Casavecchia


Feedback: 103 | altri commenti e recensioni di Filippo di Casavecchia
mercoledì 26 marzo 2014

"All'età di 14 anni vidi Suspiria, di Dario Argento, e in quel momento capii cos'è la bellezza."
(Banana Yoshimoto)

Noi adolescenti ipersensibili l'avevamo capito. In Italia i soliti critici da baraccone l'avevano bollato frettolosamente come truculento (il termine splatter allora non esisteva), quasi un B-movie con effetti macelleria. Noi invece, cuori solo giovinetti in Roma Montagnola, avevamo percepito qualcosa: a quel tempo ci sembrava forse normale che un film simile provocasse spavento e orrore, eppure avvertivamo qualcosa di più sontuoso e definitivo. Ancora ignari che l'operazione non sarebbe stata ripetibile, consacrabile a quel livello, avevamo però "appreso" qualcosa di noi stessi, dei nostri limiti emotivi. Niente di elaborato a livello linguistico, sintattico. Solo un colpo ai nervi, il centro di un'emozione nera.

Stiamo parlando di Suspiria, anno 1977. Senza patemi di apparire iperbolici nel dirlo o di sciorinare sentenze da tv cult di bassa lega: avevamo visto qualcosa di geniale. E i recessi del subconscio lo sapevano bene, come ho avuto modo di sperimentare poi.
Adesso, di quella genialità sanno in tutto il mondo, con la nota grottesca che a noi italiani l'hanno dovuta rivelare gli altri: francesi, americani, persino giapponesi. In tutto il mondo, l'opera rappresentativa di Dario Argento è Suspiria. Per noi italiani, guarda un po', è Profondo Rosso.
Ora, Profondo Rosso è un film stupendo, con un soggetto avvincente, attori eccezionali, una stesura visiva incisiva ed elegante. E se ci si vuole dare un tono da cinefili è meglio dire che quello è il miglior film di Argento. Bellissimo, più "convenzionale", per quanto possa esserlo un film di quel regista e fatto in quel momento, in cui l'ispirazione sembrava salire a spirale verso vette ancora da localizzare. Un grande thriller, con un linguaggio di scuola, dai movimenti della macchina da presa alle scelte visive, sonore e musicali. L'assassino allo specchio è solo un soggetto su cui costruire una personale visione, che Argento sembrava concepire, plasmare a livello fetale, proprio in quegli anni. Sembrava sapere bene che un film solo non sarebbe bastato, ma che stava tracciando un cammino, a partire dalla serie "zoologica" (L'Uccello dalle Piume di Cristallo, Il Gatto a Nove Code, Quattro Mosche di Velluto Grigio) fino al grande successo di Profondo Rosso. Stava frequentando una scuola interiore, quindi autoreferenziale, per fare una prova di qualifica e poi una maturità.

Ma nel 1977 ciò che con Suspiria arriva sullo schermo è tutt'altro che una "maturità" così come la intendiamo noi, un'elaborazione soppesata tra le due anime di un giovane, istinto e ragione, in cui la seconda deve prevalere per passare la griglia del mondo esterno. E' invece un fuoco istintuale preponderante, in cui visioni da un abisso emotivo urlante passano comunque al vaglio di una tecnica limpidissima, quasi molecolare, in cui il "candidato" Argento riesce ancora a sperimentare in modo superbo e azzardato, sul ciglio del burrone di quella lucida tecnologia.

Il risultato è anni luce da Profondo Rosso. Argento approda all'horror, e lo fa con una fiaba colorata, macabra, scenicamente quasi insopportabile.
La studentessa Susy Benner arriva alla prestigiosa Accademia di danza a Friburgo, per perfezionare il suo stile. Ma nel convento albergano le streghe, e non quelle cattive con un fondo di fascino, con la capacità di propagare il mito. No, le streghe qui sono il Male assoluto, senza consolazione. Loro scopo è solo quello di acquisire sempre maggior potere, dominando, terrorizzando e uccidendo. Se in questa storia cinematografica la stregoneria possa avere un suo fascino lo scopriamo solo dopo l'accettazione totale di trovarsi al cospetto dell'orrore completo, gettandoselo poi alle spalle, e questo può avvenire solo con un po' di esperienza. Allora si pensa ai palazzi di Friburgo, alla Foresta Nera, alle leggende dei paesi freddi. Alle parole del professor Milius sulla magia "quoddam ubique, quoddam semper, quoddam ab omnibus creditum est". Al mito della Mater suspiriorum. Ma si può scriverne e ragionarne solo col tempo, mentre il sottoporsi a una simile prova nell'adolescenza, com'è accaduto a me, è veramente un losco azzardo. In effetti, ho visto due volte al cinema questo film, e da allora chissà perché non l'ho più rivisto. In compenso, ogni 3-4 mesi, ho avuto lo stesso incubo per decenni: la strega Markos, la Regina Nera. Incredibilmente, ho scoperto poi che Daria Nicolodi, la compagna di Argento, aveva dato un contributo essenziale a soggetto e sceneggiatura del film inserendovi le tracce di un incubo ricorrente che faceva sin da giovane, lo stesso che mi ha trasmesso. Il sogno era stato evocato, secondo la Nicolodi, dai racconti della nonna materna, Yvonne Loeb, celebre pianista francese, che narrava di aver frequentato da giovanissima una celebre accademia di danza, abbandonandola poi dopo aver scoperto che l'attività dell'istituto celava il vero scopo: una scuola di magia nera.

Ecco, il film è questo: un lungo incubo di colori violenti e innaturali, ombre spettrali, che configurano uno stile che sembra rifarsi all'espressionismo tedesco. La scenografia è curata nei minimi dettagli ed ogni cosa, le linee dei passaggi, gli arabeschi dei corridoi, l'evocatività degli oggetti, genera una sensazione alienante, onirica, surreale. Le giovani fanciulle della scuola di danza (erano bambine nel progetto originale, poi modificato per i divieti) abitano un mondo "altro" privo dei riferimenti normali e in qualche modo tranquillizzanti di una realtà codificatrice. Attraversano la storia con i grandi occhi atterriti e infantili di Susy Benner (Jessica Harper) che ipnotizzano lo spettatore e lo regrediscono allo stadio bambinesco, in cui una ritrovata e paurosa insicurezza si riflette sulle pareti claustrofobiche dell'edificio, lo stesso in cui Erasmo da Rotterdam, secondo la tradizione, elaborò il suo celebre Elogio della Pazzia. La colonna sonora, senza tema di smentite, è la più terrorizzante mai realizzata nella storia del cinema. Ci sto pensando con dedizione, ma non ricordo di aver mai più sentito nulla di simile. Il gruppo dei Goblin, capitanati da Claudio Simonetti, inventa un tema affascinante, una specie di cerchio musicale in cui suoni sintetizzati si fondono con accordi generati da uno strumento molto particolare, il bouzouki, un mandolino di origine ellenica acquistato personalmente dal regista Argento, rimasto da esso stregato durante un viaggio in Grecia compiuto poco prima dell'inizio delle riprese. Oltre al tema principale, i Goblin sviluppano uno score molto poco orecchiabile, il più sperimentale da essi realizzato, con l'incalzare di suoni spaventosi, ottenuti distorcendo l'acustica di strumenti classici ed elettronici, mescolati a lamenti vocali quasi soffianti che rendono le scene degli omicidi, già particolarmente violente ed esplicite, tra le più efficaci mai viste su schermo. Argento partecipa attivamente alla realizzazione del missaggio audio, inserendo centinaia di suoni che rafforzano ancor più l'impatto emozionale. La critica del tempo parla di "un thriller assordante, che picchia sull'orecchio quanto sul nervo ottico": mi viene da pensare che questa gente riporti con una connotazione negativa le impressioni tecniche perché infastidita dal terrore provato, una specie di risentimento verso la mancanza di un intrinseco rispetto dello schermo verso lo spettatore. Ricordo bene di aver pensato qualcosa di simile: cazzo, questi non scherzano, sono cattivi sul serio.
Se confrontiamo con la maggioranza dei film horror odierni, in cui spesso durante le scene più crude vengono fuori battutine da parte dei protagonisti teen-ager americani che spezzano la tensione, il ricordo che ho di Suspiria, simile per questo aspetto a L'Esorcista, è quello di una storia in cui assolutamente non ride nessuno, non c'è alcuna via d'uscita non solo alla crescente tensione, ma soprattutto all'insopportabile sensazione di tornare bambino e vulnerabile, preda di incubi senza nome. Eravamo in tre amici, la prima volta, nel buio cinema Madison in Via Chiabrera. Dopo la prima scena violenta del film il cugino del mio amico, accodatosi a noi due ma notoriamente impressionabile, si alzò di scatto dalla sedia piagnucolando in romanesco: "Oh, regà... uscìmo. No, sul serio. Uscìmo!"

Ripenso con infinito rimorso a quel ragazzo, trascinato da noi in quell'avventura che a me è costata un po' di incubi, ma lui deve aver tribolato le pene dell'inferno, poveraccio.

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