Padre padrone

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Un film di Vittorio Taviani, Paolo Taviani. Con Omero Antonutti, Nanni Moretti, Marcella Michelangeli, Saverio Marconi, Fabrizio Forte.
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Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 117 min. - Italia 1977. MYMONETRO Padre padrone * * * 1/2 - valutazione media: 3,84 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Il riscatto di un pastore dal padre oppressivo. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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giovedì 8 gennaio 2015

PADRE PADRONE (IT, 1977)

Diretto da PAOLO e VITTORIO TAVIANI. Interpretato da OMERO ANTONUTTI – SAVERIO MARCONI – MARCELLA MICHELANGELI – NANNI MORETTI – STANKO MOLNAR – GAVINO LEDDA
Tratto dall’autobiografia, uscita nel 1975, di Gavino Ledda, che compare anche alla fine del film per suggellare la sua esperienza di vicinanza alla commovente e intensa vicenda narrata, della quale lui fu naturalmente protagonista in una realtà alquanto dura e inclemente. Figlio di un pastore di Siligo (Sassari), Gavino è strappato dopo poche settimane di frequenza alla scuola elementare dal severissimo e tirannico padre, che intende avviarlo alla pastorizia in qualità di suo aiutante. Fino all’età di vent’anni, il ragazzo vive separato dalla collettività, impossibilitato ad avere un’istruzione ed escluso dai più elementari rapporti sociali. Quando parte per il servizio militare, ancora condannato di fatto all’analfabetismo, sa a malapena poche parole di italiano ma, grazie anche all’aiuto di un commilitone che lo istruisce e gli regala un vocabolario, riesce a studiare e consegue la licenza liceale. Esplode a questo punto la ribellione contro il padre che, oggettivamente ed effettivamente, è stato lo strumento della sua separazione. Esce dallo scontro vincitore, pieno di pietà e di terrore, e da adulto diventerà uno studioso della lingua italiana e dei dialetti sardi, nonché un autore di libri stimato e dall’abilità univocamente riconosciuta. Un’opera eccellente e completa nel vero senso della parola, incentrata sul bisogno di spezzare il potere autoritario (ideologicamente rappresentato non solo da genitori possessivi ma anche dalle dittature più spietate) e mettere in piedi rivoluzioni grazie alla potenza della cultura e dell’erudizione, che parte sempre da basi essenziali (gli studi infantili) per arrivare agli accessi più altolocati e maestosi (i diplomi e le lauree universitarie, ma anche le fortune e i successi letterari ed editoriali). Il rifiuto del silenzio è un altro tema portante esposto da questo indiscutibile capolavoro con un effetto penetrante e d’una potenza innegabile. La colonna sonora di Egisto Macchi risulta comunque il versante più inventivo, pervadendo le scene che scandiscono la presa di coscienza di Gavino e il suo lento ma inarrestabile cammino che lo porta da una condizione di analfabeta quasi imbecille e isolato alla situazione di un uomo fatto, istruito e capace di prendere decisioni importanti e definitive. Un intenso O. Antonutti che interpreta con carisma e durezza il ruolo del padre-despota, inflessibile, cocciuto e violento, mentre S. Marconi, l’attore che fa Gavino, fa della sua duttilità un’arma espressiva molto azzeccata ed efficace. I Taviani non sono mai stati estranei ai discorsi sul potere e sul dilemma che mette in campo due forze contrastanti e che porta obbligatoriamente a scegliere quale delle due sia lo strumento giusto per manovrare la vita delle persone di cui si è responsabili. La loro regia non si smentisce neanche stavolta, anzi: invecchiando, i due fratelli migliorano, e già alla fine degli anni 1970 si può dire che avessero alle spalle una carriera sufficientemente gremita per permettersi il lusso tutt’altro che infruttuoso di girare film di un’intensità straordinaria e così carichi di temi importanti e di idee strepitose. Un giovane N. Moretti, non ancora famoso come regista, recita nel ruolo del commilitone che impartisce le prime lezioni di lingua italiana a Gavino, insegnandogli anche il latino mentre maneggiano insieme i comandi di un carro armato. Prodotto dalla RAI, e vincitore della Palma d’oro a Cannes presso una giuria presieduta da Roberto Rossellini. Fu l’ultima delle sue trasgressioni alle regole del gioco.

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