Ecco l'impero dei sensi è tratto da un curioso fatto di cronaca avvenuto nel '36 secondo cui la vera protagonista Sada Abe (nel film Eiko Matsuda), avrebbe avuto una trascendente storia d'amore col padrone dello spizio in cui presta servizio (scusate il gioco di parole), Kiki Sam (Tatsuya Fukji).
Tutto il film nell'arco dei suoi 100 minuti di durata compie la rappresentazione sublimata di questo tumultuoso rapporto di coppia, senza che le immagini ci risparmino niente, tant'è che Oshima venne accusato di aver prodotto un autentico film porno da sempre ripudiato in patria, mentre da noi uscì nel' 78 una versione che quanto a doppiaggio lascia ampiamente a desiderare, ma veniamo al dunque.
Dei due protagonisti non si sa granchè, anzi si sa quanto basta per far sì che la narrazione scorra senza intoppi: lei è una donna dal passato difficile, una geisha o prostituta o forse tutte e due le cose insieme; lui è il Johnny Depp del Sol Levante, marito infedele che gestisce la sua pensioncina riservando a chiunque gli capiti le proprie spudorate avances.
Il motivo che spiegherebbe in parte il rumoroso clamore di questo film credo sia da ritrovare nel fatto che essendo uscito nel lontano '76 aveva da mostrare effettivamente qualcosa a cui il pubblico orientale dell'epoca non era abituato, si ricordino in Europa gli allora scandalosi Ultimo tango a Parigi (1972) di Bertolucci e Salò (1976) di Pasolini.
Penso sia inutile parlare delle scene di sesso singolarmente dato che sono numerosissime e rivestono un ruolo di primo ordine, il film in sè è un continuo susseguirsi di immagini più o meno esplicite e sfrenate che danno vita a situazioni di grottesco voyeurismo come quella della vecchia che vernicia la staccionata.
La cura delle immagini l'ho trovata stranamente ben fatta, dico "stranamente" perchè in un film di questo genere passa in secondo piano, invece Oshima non ha preso nulla sotto gamba ed ha confezionato un film di tutto rispetto sotto questo punto di vista. L'ambientazione tipica nipponica è adorabile in ogni variazione cromatica, dagli esterni freddi agli interni caldi dove i protagonisti possono, incuranti di ogni cosa li circonda, impegnarsi in amplessi che definirei molto ben coreografati: in particolare uno nella sua semplicità, in cui lei gli sta sopra suonando allo shamisen una graziosa melodia giapponese, che un film con questo nome non può essere un valore aggiunto.
Come recitazione ho preferito nettamente lei a lui, che con quei sorrisini tutti uguali e prevedibili m'ha un po' scocciato. Tra le scene indimenticabili ne se sono almeno un paio, escluso il mirabolante finale, degne di essere omaggiate, quella in cui lei gioca con due bambini nudi e la si vede stringere psicoticamente il pene del piccolo pargolo inerme; e quella in cui Kiki Sam si addentra nelle lande desolate di una geisha 68enne dopo averne sentito audacemente il sapore.
La claustrofobia derivata da quegli spazi stretti e chiusi, pervasi dall'odore di sesso a cui i protagonisti sono abituati, è difficile che non generi idiosincrasia in chi è spettatore, si sente la mancanza di inquadrature larghe in spazi aperti a volte, ma non per una qualche eccessiva trasgressione o volgarità degli avvenimenti che non lo sono affatto, quanto della loro estenuante ripetitività. Sicuramente un fattore ricercato, però di gusto altamente discutibile, due scene in meno non avrebbero tolto nulla a mio avviso e la ninfomania della protagonista e l'ossessione per il membro del suo compagno, sin dalla scena in cui lui la accompagna stringendogli l'affare a mò di guinzaglio fa capire già tutto.
Voto 7.5
Danko188
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