Soli contro tutti

Un film di Tie Shan Si. Con Yu Wang, Yee Nan Shee Avventura, durata 0 min. - Hong Kong 1975.
   
   
   

Tekkonkinkreet Valutazione 4 stelle su cinque

di Barbix


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mercoledì 12 gennaio 2011

Nella babilonica Takaramachi (città-tesoro) luogo sovraccarico di idoli, sovrapposizione di percorsi, di costruzioni e oggettistica di ogni tipo, vivono due ragazzini di strada, probabilmente orfani: Bianco e Nero, rispettivamente 11 e 14 anni.
I due sono conosciuti nella città come “neko”, gatti, e in effetti sin dalle prime battute del film si spostano con balzi iperbolici da un edificio all’altro schizzando via e atterrando ovunque da altezze elevatissime. Le scene d’azione ci danno immediatamente la sensazione di che posto sia la Takaramachi, e di come i due fratelli siano a loro agio nel labirintico intrico di pericoli di questo caos urbano che in qualche modo li ha generati. I due vivono in un relitto di macchina abbandonata, in una zona desolata della città, senza particolari obblighi.
In città sono però in arrivo grandi cambiamenti. La polizia è in allerta per il ritorno del vecchio yakuza “il Topo”, che però è un malavitoso vecchio stile nichilista e romantico, figlio della città come Bianco e Nero, che non ne sopporta le pericolose inclinazioni verso un sistema mafioso di tipo imprenditoriale-capitalistico, e vi si oppone fino all’autodistruzione. Il viscido Serpente è infatti il capo di un organizzazione senza scrupoli che vuole trasformare Takaramachi in un enorme parco giochi, in un luna park scintillante uccidendone la storia e i vissuti quotidiani intrisi nelle strade di città-tesoro (Takaramachi). Nero e Bianco riescono a difendere il loro equilibrio e quello della città finquando il serpente non assolda tre killer professionisti. In un violento scontro con uno dei tre Bianco viene ferito a morte e Nero decide di lasciare che la polizia lo protegga. Ma proprio l’assenza del piccolo fa impazzire il fratello maggiore, che seguendo il destino scritto nel nome che porta cade in un abisso di oscurità, sfogando la sua demoniaca violenza su tutto e tutti. Quando la città è sull’orlo del collasso, sopraffatta da tanta violenza, sarà Bianco a ribilanciare le energie. In un finale travolgente le immagini e i colori di Bianco escono fuori dalla sua mente per sublimare tutta la violenza di nero e tutto il dolore passato in un cielo dai colori pastello.

Figli del caos, i due ragazzini rappresentano lo yin e lo yang. Nero è la parte più forte, l’adulto. Bianco è il bambino, lo stupore innocente e poetico della vita. Sciolte le metafore a priori il film si snoda quasi nella memoria dello spettatore, i due sono familiari come familiare è la città e il tempo in cui è contestualizzata la storia. L’ambivalenza dell’essere umano nel divenire, nell’essere contaminato e in continuo mutamento. Tutto ci appartiene e siamo proiettati nella violenza e nella vendetta, come nei disegni infantili che dando ritmo al fil ci inondano gli occhi per un qualche misterioso motivo

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