gianni
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giovedì 3 febbraio 2005
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l'istinto alla sopravvivenza.
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Sublime Lina Wertmuller ha ritrovato con questi interpreti generosi anni ormai passati e mai dimenticati. Gli anni della guerra e della miseria anche culturale di un uomo qualunque di Napoli (Giannini) che cercava il suo modello-guida in un boss di rione, padrino di vecchio stampo che si muove tra i suoi 'guappi' pronti ad eseguire ordini e commissioni in stile camorristico e lustrascarpe sordi e servili.
Pasqulalino no, si capisce, non è un uomo malvagio o almeno fatica ad esserlo tanto quanto fatica ad inventarsi un ruolo nella vita, a contare qualcosa, lui, l'unico 'uomo' in mezzo a sette 'femmene', e cio' traspare in particolare dopo l'esecuzione di un suo rivale reo di essersi preso gioco della sorella e di averla portata, con false promesse, a lavorare in una casa chiusa.
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Sublime Lina Wertmuller ha ritrovato con questi interpreti generosi anni ormai passati e mai dimenticati. Gli anni della guerra e della miseria anche culturale di un uomo qualunque di Napoli (Giannini) che cercava il suo modello-guida in un boss di rione, padrino di vecchio stampo che si muove tra i suoi 'guappi' pronti ad eseguire ordini e commissioni in stile camorristico e lustrascarpe sordi e servili.
Pasqulalino no, si capisce, non è un uomo malvagio o almeno fatica ad esserlo tanto quanto fatica ad inventarsi un ruolo nella vita, a contare qualcosa, lui, l'unico 'uomo' in mezzo a sette 'femmene', e cio' traspare in particolare dopo l'esecuzione di un suo rivale reo di essersi preso gioco della sorella e di averla portata, con false promesse, a lavorare in una casa chiusa. No, Pasqualino è solo un uomo debole e ingenuo vissuto nell'ambiente sbagliato, che vuole rispettare a tutti i costi il suo ruolo di 'uomo' e che sa dimostrare di avere un cuore al momento giusto ma anche di essere spietato egoista ed efferato per gli atti che commette. E' una persona che prova a vivere come gli è stato insegnato.
Il senso del film è soprattutto questo, sta nella frase detta prima di sedurre l'abominevole Kapo' del campo di concentramento; "...io ci ho provato a vivere ma non ci sono mai riuscito! la mia non è stata una vita, è stata una schifezza...".
La voglia di vivere invece, quella a Pasqualino proprio non manca, è più forte di ogni cosa, è un istinto così naturale che riesce penetrare lo schermo conquistando lo spettatore; qui Giannini è l'attore giusto che si è immolato!
Poetica per la fotografia è la passeggiata di Pasqualino a Napoli e l'incontro della sua futura moglie, costretta ancor bambina a suonare il pianino a manovella per guadagnarsi il pane, indiscutibile documento del tempo, bello ed emozionante.
Ottime le musiche e la rappresentazione del lager nazista.
Troppo lunga e forzata è la scena dell'occultamento del cadavere.
Ci sono spunti ironici da macchietta, in linea col filone Giannini-Wertmuller.
E'un film all'altezza di Fellini ed in alcune scene lo stile mi sembra simile.
Una nomination all'Oscar per Giancarlo Giannini come protagonista.
Non adatto ad un pubblico al di sotto dei 14 anni.
Si piange e si sorride.
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[+] bravo gianni!
(di nicolasullelefantino)
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andrea
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venerdì 27 aprile 2001
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pasqualino "settefferatezze" 2
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Tutti si prostituiscono: prima la sorella-prostituta-cabarettista, poi Pasqualino al processo fingendosi (“vendendosi come”) infermo mentale e offrendosi alla comandante/stupratrice del campo di concentramento, così pure le restanti “seibellezze” con i soldati stranieri e anche la ragazzina, diventata donna alla fine del film (prostituitasi ma fedele nell’amore per lui), che Pasqualino accetta di sposare (dimenticandosi il “principio d’onore” della verginità femminile, perché la prostituzione è dappertutto!). Efficace la sintesi dei timori fascisti verso il popolo espressa nella breve scena in cui Giannini, condannato a 12 anni di manicomio criminale, incontra un socialista condannato a 18 perché non capace di tacere sulle sue idee politiche (disprezzo del fascismo per la morte, per l’omicidio e timore, invece, per la potenza di diffusione della parola).
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Tutti si prostituiscono: prima la sorella-prostituta-cabarettista, poi Pasqualino al processo fingendosi (“vendendosi come”) infermo mentale e offrendosi alla comandante/stupratrice del campo di concentramento, così pure le restanti “seibellezze” con i soldati stranieri e anche la ragazzina, diventata donna alla fine del film (prostituitasi ma fedele nell’amore per lui), che Pasqualino accetta di sposare (dimenticandosi il “principio d’onore” della verginità femminile, perché la prostituzione è dappertutto!). Efficace la sintesi dei timori fascisti verso il popolo espressa nella breve scena in cui Giannini, condannato a 12 anni di manicomio criminale, incontra un socialista condannato a 18 perché non capace di tacere sulle sue idee politiche (disprezzo del fascismo per la morte, per l’omicidio e timore, invece, per la potenza di diffusione della parola). Surreale il suicidio nella vasca piena di escrementi umani del (non a caso) attore bunueliano Fernando Rey che per mantenere la propria dignità di uomo si uccide con un elemento normalmente non proprio dignitoso! Uno dei pazzi in manicomio è uno dei quattro carnefici fascisti del “Salò” di Pasolini (anch’esso del 75’) film non totalmente estraneo nell’atmosfera, negli umori, nei temi e nelle situazioni a quest’opera della Wertmuller.
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(di gianni)
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dandy
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sabato 5 marzo 2011
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si....sò vivo...
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Confuso da molti con un atto d'atto d'accusa contro l'immoralità qualunquista,il film è invece un'opera contraddittoria,nichilista,violenta e inquietante dove il male del protagonista finisce per essere giustificato col fatto che "tanto nulla avrebbe cambiato le cose".Nonchè uno dei miglior prodotti della Wertmuller.Comincia come una commedia per poi mutarsi via via in un incubo di crudeltà e spietatezza,senza però rinunciare a un sottofondo grottesco quando non surreale(il suicidio nella vasca degli escrementi).Ogni giustificazione morale è annullata di fronte alle primordiali ed essenziali esigenze del corpo:nutrimento e sesso.
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Confuso da molti con un atto d'atto d'accusa contro l'immoralità qualunquista,il film è invece un'opera contraddittoria,nichilista,violenta e inquietante dove il male del protagonista finisce per essere giustificato col fatto che "tanto nulla avrebbe cambiato le cose".Nonchè uno dei miglior prodotti della Wertmuller.Comincia come una commedia per poi mutarsi via via in un incubo di crudeltà e spietatezza,senza però rinunciare a un sottofondo grottesco quando non surreale(il suicidio nella vasca degli escrementi).Ogni giustificazione morale è annullata di fronte alle primordiali ed essenziali esigenze del corpo:nutrimento e sesso.Ed in questo calza perfettamente l'ideologia ambigua e decisamente maschilista alla base del pensiero della regista.Magnifico Giannini nel ruolo di un viscido e inarrestabile opportunista,capace di dosare sapientemente istrionismo e commozione.Ma non si può tralasciare l'altrettanto intensa interpretazione di Fernando Rey(che recita in italiano)nel ruolo dell'anarchico Pedro.Uno degli internati nel manicomio è Aldo Valletti,il Presidente del"Salò" di Pasolini.Grande successo anche negli USA,ma nessun oscar nonostante le nomination.Belle musiche di Enzo Jannacci che introduce il film con spezzoni di repertorio della seconda guerra mondiale al ritmo di "Quelli che..."Il soprannome di Pasqualino deriva per antifrasi dalle sette sorelle brutte e grasse.
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luca scial�
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domenica 29 luglio 2012
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il dramma della guerra in chiave grottesca
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Napoli, anni '30. In uno dei tanti quartieri napoletani, dove ognuno si arrangia come può, vive Pasqualino, chiamato Settebellezze, perché, pur essendo bruttino, piace molto alle donne per i suoi modi affascinanti. La sua vita cambia radicalmente quando uccide il marito della sua prima sorella per questione d'onore. Inizia per lui un calvario, parallelo a quello dell'Italia fascista.
Con questo lungometraggio Lina Wertmüller fa il salto di qualità, riuscendo a proporre un ottimo film drammatico in chiave grottesca e quasi comica.
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Napoli, anni '30. In uno dei tanti quartieri napoletani, dove ognuno si arrangia come può, vive Pasqualino, chiamato Settebellezze, perché, pur essendo bruttino, piace molto alle donne per i suoi modi affascinanti. La sua vita cambia radicalmente quando uccide il marito della sua prima sorella per questione d'onore. Inizia per lui un calvario, parallelo a quello dell'Italia fascista.
Con questo lungometraggio Lina Wertmüller fa il salto di qualità, riuscendo a proporre un ottimo film drammatico in chiave grottesca e quasi comica. Ottimo Giannini nei panni di un "guappo di cartone" e sciupafemmine napoletano. Molti riconoscimenti, meritati, tra cui un Golden Globes.
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andrea
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venerdì 27 aprile 2001
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pasqualino "settefferatezze" 1
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Questo durissimo film della Wertmuller è un’originale riflessione su temi quali: la dignità, la violenza (dalla quale la m.d.p. scivola via velocemente, a parte per l’agghiacciante omicidio forzato dell’amico-prigioniero da parte di Pasqualino), il senso della responsabilità…Il film si apre con Jannacci (il quale domina nei pochi momenti di accompagnamento musicale, con bella aderenza al clima del film di grottesco-farsesca riflessione) che accompagna in “armonioso contrasto” (in sincronia perfetta il “bum” del cantautore con un’esplosione!) immagini di repertorio di bombardamenti della 2° guerra mondiale con la canzone “Quelli che…” e, in chiusura, con “Tira a campar” sul bellissimo e primissimo piano (esaltato, come il resto del film, dalla bella fotografia di Tonino delli Colli) di Giannini tagliato obliquamente da una “lama d’ombra” a simboleggiare la scissione del suo io (scissione che egli si è piegato ad accettare) e che non potra più ricomporre per cercare di riavvicinarsi al Pasqualino d’apertura che è, sostanzialmente, uno sbruffone, un pallone gonfiato al quale capita la sventura che gli sfugga accidentalmente un colpo dalla pistola puntata contro il pingue amante di una delle sue “settebellezze” (da questo momento il suo destino morale è già irrimediabilmente segnato).
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Questo durissimo film della Wertmuller è un’originale riflessione su temi quali: la dignità, la violenza (dalla quale la m.d.p. scivola via velocemente, a parte per l’agghiacciante omicidio forzato dell’amico-prigioniero da parte di Pasqualino), il senso della responsabilità…Il film si apre con Jannacci (il quale domina nei pochi momenti di accompagnamento musicale, con bella aderenza al clima del film di grottesco-farsesca riflessione) che accompagna in “armonioso contrasto” (in sincronia perfetta il “bum” del cantautore con un’esplosione!) immagini di repertorio di bombardamenti della 2° guerra mondiale con la canzone “Quelli che…” e, in chiusura, con “Tira a campar” sul bellissimo e primissimo piano (esaltato, come il resto del film, dalla bella fotografia di Tonino delli Colli) di Giannini tagliato obliquamente da una “lama d’ombra” a simboleggiare la scissione del suo io (scissione che egli si è piegato ad accettare) e che non potra più ricomporre per cercare di riavvicinarsi al Pasqualino d’apertura che è, sostanzialmente, uno sbruffone, un pallone gonfiato al quale capita la sventura che gli sfugga accidentalmente un colpo dalla pistola puntata contro il pingue amante di una delle sue “settebellezze” (da questo momento il suo destino morale è già irrimediabilmente segnato). Trash-popolare la scena iniziale del film dopo le immagini di repertorio, con la subitanea presentazione della sorella-prostituta (la prima ad “esercitare il mestiere”) sopra citata impegnata in un ridicolo e “osceno” spettacolo da cabaret. Notevole “l’animalità esasperata” (naturale nella sua esaperazione) che, progressivamente, Giannini riesce a esprimere, in particolare nella scena dell’approccio sessuale alla comandante nazista (remake visivo e sessuale, ad un anno di distanza, dell’altrettanto perversa Belluzzi, tabaccaia-pedofila di “Amarcord”) dove, mangiando nella ciotola “canina” (canina per forma e perché i crauti e i wurstel contenuti sono divorati per terra, “a quattro zampe”) egli innesta il binomio cibo-sesso. In quest’ultima scena un’ossessiva luce verde taglia la stanza quasi a simboleggiare l’alienamento che domina la sequenza (ben diverso quindi dall’utilizzo che ne fa ad esempio Hitchcock sul volto della Novak in “Vertigo”).
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paride86
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martedì 4 ottobre 2011
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sopravvalutato
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Storia di un italiano e della sua italianità, almeno per come la vede Lina Wertmuller.
Tra cliché, macchiette e questioni d'onore - con la guerra sullo sfondo - Giancarlo Giannini sostiene praticamente da solo tutto il film comn la sua immensa bravura. La sceneggiatura è discontinua e disomogenea e la regia, strapiena di primissimi piani, non è da meno.
La noia regna sovrana.
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