I quattro dell'apocalisse |
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Un film di Lucio Fulci.
Con Fabio Testi, Lynne Frederick, Tomas Milian, Michael J. Pollard, Harry Baird.
continua»
Western,
durata 105 min.
- Italia 1975.
MYMONETRO
I quattro dell'apocalisse
valutazione media:
3,00
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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violenza chiama violenzadi Gianni LuciniFeedback: 29149 | altri commenti e recensioni di Gianni Lucini |
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giovedì 15 settembre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Ispirandosi ai personaggi disegnati da Francis Brett Harte nella serie di racconti pubblicata nel 1868 con il titolo di “The luck of roaring camp”, la sceneggiatura di Ennio De Concini accompagna il viaggio quasi iniziatico di un gruppo di disperati attraverso un mondo che sembra rovesciato. In questo film Lucio Fulci forza in maniera inusitata i codici del western all’italiana portandoli fino al limite più estremo. Ne I quattro dell’Apocalisse la violenza è violenza e basta. È anonima come il cappuccio dei giustizieri che massacrano un intero paese per ripulirlo dai peccatori, è feroce come la mano che scuoia vivo un uomo per farlo soffrire di più, è folle come il ghigno di Chaco. Non è mai bella, neppure quando serve alla vendetta. Per meglio rendere questi concetti ha eliminare anche pistoleri e duelli. Nessuno dei protagonisti è un pistolero. I quattro fuggiti dall’Apocalisse di Salt Flat sono pacifici abitatori del sottobosco dell’umanità e tre di loro non sanno neppure imbracciare un arma. Il loro persecutore Chaco spara per il gusto di ammazzare e lo fa a tradimento, mai in duello. I codici del western all’italiana prevedono che il duello, mettendo uno di fronte all’altro i contendenti, finisca per rappresentare una sorta di riequilibrio dell’ordine sconvolto dalla violenza, indipendentemente dalle ragioni, dalla qualità e dalle armi di ciascuno. Ne I quattro dell’Apocalisse questo momento non c’è mai neanche quando viene ucciso Chaco. La vendetta si compie e basta. Niente duello. Stubby non riconosce alcuna dignità al suo rivale. Lo uccide e basta. Non c’è sollievo nella fine del nemico, solo la consapevolezza di una profonda solitudine che il regista, con mano geniale, fa riempire dal cane randagio unitosi a lui poco prima dei titoli di coda.
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