Sussurri e grida

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Un film di Ingmar Bergman. Con Harriet Andersson, Ingrid Thulin, Erland Josephson, Liv Ullmann.
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Titolo originale Viskningar och rop. Drammatico, durata 91 min. - Svezia 1973. MYMONETRO Sussurri e grida * * * * - valutazione media: 4,22 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Dissolvenza in rosso. Valutazione 4 stelle su cinque

di Oblivion7is


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venerdì 26 agosto 2011

Antefatto: Un mio amico è un incredibile fan di Bergman. Una volta mi fa "Ehi, qual è il tuo preferito suo?" "Di chi?" "Di Bergman!" "Bergman chi?" "Come!!?!?!! NON SAI CHI È BERGMAN! SUVVIA!" e mi descrisse essenzialmente tutti i suoi film. Io rimasi colpito dalle sue descrizioni, in particolare quella di questo e de "Il Settimo Sigillo" che comunque conoscevo per fama. Vista la pesantezza del regista svedese narratami dal mio amico, ho sempre rimandato la visione delle sue pellicole. Poi, mi sono fatto coraggio e ho visto questo. Dunque.
Questo film mi ha colpito per la sua rappresentazione dell'uomo e della realtà, in modo scarno e crudele, crudo e passionevole, senza Dio nella maniera più assoluta. Sono parecchie le scene culto: la scena del vetro, la scena de "il morto che rivive" e per ultima, anche se è la prima nell'ordine cronologico del film, la scena di Maria e David allo specchio. La trama è presto detta: Agnese sta morendo, e le due sorelle Maria e Karin, insieme ad Anna la domestica, le fanno compagnia nei suoi ultimi giorni. Sembra semplice, ma non è così, visti i vari drammi personali di tutti e quattro i feroci personaggi femminili. Agnese, forse a causa della sua malattia, non riesce a percepire a pieno la felicità, che trova anche nelle piccole cose, e si sente completa solo quando è con Anna, che le ricorda la madre morta, e sul cui seno appoggia la testa; Marie ha tradito suo marito, che poi, scopertolo, si auto-pugnala senza però uccidersi, con un dottore geniale che solo guardandole il viso riesce a percepire ogni sua sfumatura anche psicologica; Karin, pazza, è sposata con un uomo freddo che non fa che dirle menzogne, ed in un atto di autopunimento inutile si ficca con violenza un pezzo di vetro nella vagina; Anna, morta la figlia, ha come unico sollievo il rapporto quasi famigliare con Agnese, la cui morte è come un pezzo di vita che va via, dato l'affetto con cui l'ha accudita per 12 anni. Il rapporto anche tra Karin e Maria è complesso, dato lo scambio di freddezza tra le due che però in un'unica scena diventa una passione sfrenata ed un amicizia che sembra quasi toccare l'amore di una coppia lesbo. Agnese muore, viene compianta, tra gli altri, da un prete che, con un pessimismo poetico, parla della morte, riscuscita sulle ginocchia di Anna in una posa simile alla "Pietà", e rimuore, mentre la domestica legge il suo diario. Wow.
Un meccanismo continuo di finti e falsi flashback sulla realtà delle tre sorelle e di Anna che è quasi la protagonista del film, almeno dal punto di vista morale. Violento senza mostrare molto sangue (tranne che in due cortissime scene), mostra in poche scene un giovanissimo e piacevole Henning Moritzen (nel ruolo del marito di Maria), soprattutto conosciuto come il malvagio anti-eroe di "Festen - Festa in Famiglia" di Vinterberg. Un film non privo di difetti narrativi (lo scopo è chiaro, ovvero parlare della vita, della morte, dell'uomo, della realtà, della morte e dell'affetto familiare... ma non è chiarissimo cosa vuole raccontare dal punto di vista della storia), ma con la fotografia più bella che abbia mai visto. C'è quasi suspence in alcune scene, benché non ci sia mistero, bensì quasi una fretta di arrivare alla fine (dura un'ora e mezza, ma nella prima ora ho sbadigliato 3 volte). Le attrici sono bravissime, davvero, e dal punto di vista tecnico è un film superbo, come anche dal punto di vista del messaggio. Insomma, ha tutte le carte in regola per essere il più grande capolavoro della storia del cinema, ma manca qualcosa nella narrazione. Va comunque visto, almeno da chi non ha paura di un pessimismo cosmico oltre misura.

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