Amarcord |
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Un film di Federico Fellini.
Con Bruno Zanin, Pupella Maggio, Armando Brancia, Giuseppe Ianigro.
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Commedia,
Ratings: Kids+16,
durata 127 min.
- Italia 1973.
- Cineteca di Bologna
uscita lunedì 14 settembre 2015.
MYMONETRO
Amarcord
valutazione media:
4,75
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Fellini ci porta nel profondo del sogno popolare.di Great StevenFeedback: 70018 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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venerdì 13 febbraio 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
AMARCORD (IT, 1973) diretto da FEDERICO FELLINI. Interpretato da BRUNO ZANIN, MAGALI NOEL, ARMANDO BRANCIA, PUPELLA MAGGIO, CICCO INGRASSIA, ALVARO VITALI, MARIA ANTONIETTA BELUZZI, LUIGI ROSSI, GIUSEPPE IANIGRO, GIANFILIPPO CARCANO, ARISTIDE CAPORALE, JOSIANE TANZILI, MARIO LIBERATE, NANDO ORFEI, ANTONINO FAA DI BRUNO
Amarcord è un intercalare del dialetto romagnolo (la lingua madre di Fellini) che significa, come è noto, “mi ricordo”, e non a caso il regista rievoca gli anni della sua infanzia, gli anni Trenta, in un paese che si affaccia sulla riviera romagnola. Un excursus fantastico, formidabile e completo dei miti, dei valori e del quotidiano che si respiravano a quel tempo: le parate fasciste che celebravano le ricorrenze della fondazione dell’Impero Romano, la scuola dove insegnava la maestra prosperosa che stuzzicava i primi pensieri sessuali, la prostituta sentimentale che si concedeva a tutti i clienti indistintamente, la visita dell’emiro arabo dalle cento mogli, lo zio matto ricoverato in manicomio che monta su un albero per gridare al mondo il suo bisogno d’affetto, le competizioni automobilistiche della Mille Miglia con le macchine colorate dalla carrozzeria aerodinamica, la tabaccaia dalle forme giunoniche, il capofamiglia antifascista che si fa riempire d’olio di ricino pur di non prendere la tessera del Fascio, tutti gli abitanti del paesello che di notte, in mare aperto, salutano il passaggio del transatlantico Rex. Nel 1973 Fellini conquistò un meritatissimo Oscar per il migliore film straniero, e c’è da sottolineare come fosse capace, a cinquantatré anni suonati, di incantare praticamente con una materia elementare e quasi incorporea, confezionandola però con splendidi toni cromatici, fantasia debordante e sensazioni penetranti. Si giovò, per questo capolavoro popolare dai sapori agresti, dei collaboratori abituali, a partire dal compositore Nino Rota che si dimostrò costantemente importantissimo nell’economia del cinema felliniano. Per una volta, comunque, è doveroso evidenziare come la controparte di Fellini, o meglio il suo alter ego immancabile, non sia Mastroianni ma Titta (interpretato da B. Zanin, che non recita con la propria voce ma è doppiato da Piero Tiberi), lo sveglio ragazzo in età scolare che formula mentalmente desideri amorosi sulle donne procaci che osserva e che combina marachelle in compagnia degli amici. Due momenti di altissima poesia e di levatura grafica-plastica innegabile: la mucca che compare nella giornata di nebbia e che viene inizialmente scambiata per chissà quale creatura mostruosa, e il pavone che fa la ruota sotto la fitta nevicata di cui i bambini approfittano per giocare a palle di neve. Un ulteriore interpretazione a cui spetta un’obbligata lode è la performance di M. Noel, l’avvenente e furba Gradisca, donna matura in età da marito che alla fine riesce a contrarre un sontuoso e celebratissimo matrimonio, andando via dal paese nativo. Il suo abito rosso non verrà presto cancellato dall’immaginario collettivo cinematografico nostrano. Tra gli attori maschili, da notare A. Brancia nella parte del padre operaio che effettua volontariamente dei contrasti con i gerarchi fascisti per la sua opposizione convinta all’ideologia dominante, A. Vitali che raffigura il più pittoresco e maleducato fra i vivaci ragazzi della comunità e C. Ingrassia che con la sua solita verve controllata ma al contempo anche scatenata fa la parte dello zio infermo che esce dalla clinica per passare un pomeriggio con la famiglia. Insomma, il film mette in scena un tripudio di allegria, rimembranze nostalgiche, divertimento assicurato, ironia sottile e tagliente e malinconia per un’epoca ormai trascorsa che riesce tuttavia a rivivere finché c’è qualcuno che la rammenta. Con la correttezza espressiva e il gusto onirico che soltanto uno dei maestri del cinema italiano poteva imprimere ad un carosello indimenticabile di immagini audiovisive. Il film è anche una sorta di meta-racconto attraverso il quale non solo viene riportata alla luce la vita della città romagnola nell’era fascista, ma anche il lavoro dignitoso e ammirevole di un regista scomparso da ventidue anni che ha lasciato ai posteri un’eredità artistica senza precedenti, quasi tutta giocata sulle apparenze ingannevoli ma speciali del sogno.
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