Il miglior film di Fassbinder che abbia visto. È la storia di una donna non più giovanissima, Petra von Kant appunto, stilista di successo, intelligente, caustica, con un matrimonio fallito alle spalle del quale parla con grande sicurezza e penetrazione psicologica (continuando, come se stesse raccontando della cena dell’altro ieri, a mettersi il make-up): ci si presenta insomma come una persona con doti fuori del comune, e di conseguenza forte e molto sicura di sé. Ad un tratto appare in scena una giovane donna, Karin, che invece, a parte l’avvenenza fisica, di doti pare non averne alcuna. Anzi pare proprio essere la banalità in persona. Ma Petra si innamora perdutamente di lei fino a diventarne la schiava, e tutte le sue doti e la sua sicurezza semplicemente si liquefano di fronte alla bellezza di Karin (e nonostante Petra si accorga benissimo dei limiti di Karin, e del fatto che sia divenuta la sua amante solo per poter entrare nel mondo della moda). Il film è la storia della successiva discesa negli inferi della passione non corrisposta, e di un disperato tentativo di fuggire dalla solitudine.
La sceneggiatura è ottima; il personaggio di Petra è ambiguo e affascinante, e l’attrice che l’interpreta, Margit Carstensen, è strepitosa.
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