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Per lungo tempo era considerato uno dei western all’italiana introvabili e solo quest’anno (2013) è stato recuperato, ripulito e rimesso in circolazione in una versione più lunga di quella che si era vista nei cinema italiani. La parte aggiunta scorre prima dei titoli, dura una decina di minuti, è priva della traccia audio in italiano e racconta un massacro . Forse proprio per la sua irreperibilità aveva attirato critiche estremamente negative aiutate anche dal fatto che lo stesso regista Sergio Garrone, secondo quando scritto da Marco Giusti, non ricordava granché di questo lavoro. Peccato, perché a vederlo oggi non è poi così male. Non è tra i migliori di Garrone ma la pessima fama che lo circondava è del tutto immeritata. Va detto che il titolo non c’entra nulla con il film, nel quale non c’è alcun Django. Il protagonista, infatti, si chiama Johnny e il lungometraggio nelle versioni in lingua spagnola è intitolato Tequila. La storia regge bene nonostante qualche buco di sceneggiatura, abbastanza consueto per l’epoca. Giacomo Rossi Stuart è all’altezza del suo compito e non mancano interessanti caratterizzazioni come quella del killer psicopatico dagli occhi a mandorla che vive in una grotta tipicamente garroniana o il bounty killer che usa un flauto come cerbottana. La sceneggiatura, firmata dall’autore del soggetto Palmambrogio Molteni, nelle sale italiane vede la firma anche di Garrone, del tutto assente nelle versioni destinate al resto del mondo. Tra gli attori spiccano anche le interpretazioni di Aldo Sambrell, il cattivo dalle due personalità, e di George Wang nella parte del killer psicopatico.
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