Si sa che negli Anni Settanta anche Hollywood era rimasta impressionata dallo spaghetti western: in qualche caso se ne lasciò influenzare sapientemente, altre volte ne subì un condizionamento troppo pesante, come in questo film, che pure parte da un ottimo spunto. La trama della donna suggestionata a tal punto dal proprio rapitore da innamorarsene - soprattutto se ha un marito dispotico, insensibile e crudele - non è nuova, ma può essere riproposta in molte versioni, catturando sempre l'interesse del pubblico. Soprattutto se questa donna e la deliziosa Candice Bergen,la storia possiede tutti gli atout per decollare felicemente, tanto più che il suo nuovo partner è il tenebroso Oliver Reed e l'uomo che si è lasciata alle spalle il perfido Gene Hackman. Premesso ciò, il regista televisivo Medford cede troppo volentieri alle tentazioni di "bassa macelleria" che contraddistinguono solitamente i western italiani Anni Sessanta-Settanta e la "conversione" di Reed, che da efferato criminale si trasforma in un agnello disarmato, non riesce a convincere. Una simile trasformazione può funzionare ne "I Dieci Comandamenti" di Cecil De Mille, nel quale Mosè abbandona il potere e le armi per sfidare il faraone egiziano con un saio indosso e un semplice bastone in mano, ma in un western è semplicemente fuori luogo. Più aderenti le parti della Bergen e di Hackman, particolarmente la prima, che non è nuova ad interpretare ruoli di donna emancipata e anticonformista (ricordiamo "Soldato Blu", di Ralph Nelson). Finale da feuilleton, con le due vittime sacrificali perdute nel deserto, fatalmente rassegnate alla loro drammatica sorte. La loro morte cruenta toglie al vendicativo Hackman la sua unica ragione di vita, quella della vendetta, aggiungendo anche lui alla messe di cadaveri. Un West a tratti sfocato, con degli scenari che riportano inconfondbilmente ai film western di casa nostra. Si poteva fare di meglio? Con attori di questo calibro, sicuramente sì.
Domenico Rizzi, scrittore.
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