Il terzo film di Herzog - girato all'età di 26 anni - dopo aver superato esperienze non proprio edificanti quali il carcere in Africa e la malaria. Il film, ambientato su un'isola vulcanica, racconta l'atto di ribellione, devastazione, follia di un gruppo di nani a scapito di un maestro che tiene in ostaggio il loro leader. Herzog ha scritto il copione in cinque giorni, non sapendo bene neanche lui perché, o meglio non ponendosi molte domande sul perché. "Un lungo incubo davanti ai miei occhi", questo rappresenta il film secondo il regista. Dolori e incubi che necessitavano di una messa in opera, di una forma di dispiegamento. Uno svelare con una "verità estatica" il doppio atto della forma e dello smascheramento, una elaborazione. A questa funzione di rigetto oltre alla degenerazione del gruppo di nani - un microcosmo in tutti i sensi - si accompagnano una scrofa agonizzante assediata dalla famelica prole, una scimmia crocifissa (in realtà legata con corde di lana), cannibalismo tra galline (il regista semplicemente le seguiva), un dromedario incapace di alzarsi (in realtà con comandi specifici fuori campo) e un'auto senza autista che gira su sé stessa a motore acceso (uno dei nani venne anche investito accidentalmente durante le riprese). La natura dell'incubo è legata ad aspetti come il fatale, l'inevitabile, il dubbio, sentimenti primordiali rimossi, la morte. Il film è chiaramente tutto questo, un'astrazione della perdita o della prossimità del baratro senza possibilità di fuga se non l'abbandono, l'autodistruzione. Herzog è figlio della Germania nazista, nato durante la guerra. Come lui stesso dice, una generazione di orfani, senza padri da seguire, senza padri dai quali imparare. "L'assenza di figure paterne e la mancanza di continuità culturale", il tragico quindi inevitabilmente presente, qui in veste "cinematografica".
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