La solitudine della Frances di Sandy Dennis consiste nella consuetudine dei gesti quotidiani (che non manca di eseguire anche quando si avventura verso quella che spera si risolverà in una notte d’amore) e nel possesso dei propri oggetti (tra i quali, alla fine, verrà annoverato anche il Ragazzo).
Frances è spaventosamente sola, incapace di stabilire un contatto con gli altri: per il suo senso di superiorità (respinge l’attempato corteggiatore perché non sopporta l’odore delle persone anziane); per la frustrazione di essere giovane e, al tempo stesso, trasparente allo sguardo altrui; per l’incapacità di concedersi e per l’impossibilità di ricevere (viste le proprie enormi aspettative). È talmente sola che quando deciderà di offrire e chiedere amore al Ragazzo (“Please!”), scoprirà con orrore di aver offerto se stessa a una bambola.
È a quel punto che la disperazione, finora imprigionata nel ripetersi monotono delle giornate, varca la soglia e comincia a trasformarsi in pazzia: una pazzia che è sempre stata con lei (e che Frances ha tenuto a freno, così come i personaggi di Sandy Dennis tengono sempre a freno la rabbia) e che adesso comincia a venir fuori (come le parole che le sgorgano alle labbra alla vista del Ragazzo).
E mentre Frances vive il suo romanzo, fuori di lei – del suo mondo tutto concentrato su se stessa e sui suoi giorni sempre uguali – scorre il mondo vero. Il mondo di cui tutti sanno parlare, tranne lei che sa parlare solo di se stessa; il mondo che tutti sanno vivere, tranne lei che non ha un mondo dove stare. Forse il Ragazzo avrebbe potuto costituire un mondo intermedio, capace di non giudicarla, di non ridere di lei, di non cercare di imbrogliarla. Ma è troppo tardi.
Frances, infatti, sta impazzendo. Barrica il Ragazzo in casa e si sottopone all’umiliante viaggio in un bar-bordello per procurargli una prostituta. E mentre la sorella del Ragazzo (interpretata dalla playmate Susanne Benton) rappresenta la trasgressione e la gioia di vivere del Sessantotto, la Sylvie di Luana Anders rappresenta una sorta di alter ego della Frances di Sandy Dennis. Come il volto di quest’ultima è pietrificato dall’assenza di vita e dall’obbligo al decoro (introducendo la prostituta Sylvie nella camera del Ragazzo si scuserà timidamente per non aver fatto adeguatamente gli onori di casa), così il volto di Luana Anders (icona di Roger Corman) è durissimo, scolpito dalla vita e, al tempo stesso, aperto a tutto ciò che la vita ha da offrire (sorride divertita, si spaventa per le bizzarrie di Frances: insomma “fa il suo lavoro”).
Il punto di non ritorno per Frances coincide con un eccesso di realismo (capisce che non basta farsi mettere la spirale per diventare in grado di dare e ricevere amore) e un estremo, disperato gesto d’amore (aspettare dietro la porta che il sollazzo del giovane sia portato a termine): un ultimo tentativo di non oltrepassare quell’invisibile linea tra sé e gli altri che la imprigiona da tutta la vita.
Frances non ci riuscirà e, alla fine, oltrepasserà quella linea. E lo farà nel modo più violento possibile, regalandoci due ultime incredibili scene: quella in cui la morente Sylvie sembra quasi accarezzare i capelli della sua assassina e quella in cui il Ragazzo – finalmente – capisce il grosso guaio in cui si è ficcato.
E, finalmente, Frances potrà abbandonarsi al suo delirio: libera di parlare, accarezzare e baciare la sua bambola personale.
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