Ogni immagine di questo film è metafora del rapporto tra arte e potere, ogni parola è parte di una confessione in forma di poesia dell’autore, che, attraverso il suo alter ego, il protagonista, Jean-Pierre Léaud, il bambino prodigio di I 400 colpi di Truffaut, lacera il drappo che vela il sistema, violando il sepolcro imbiancato della società ipocrita e perbenista della sua epoca, che partorì la nostra.
Straniante ed evocativo, provocatorio e suggestivo, Porcile fece scandalo nel ’69. Oggi è semplicemente incomprensibile. Nella società totalmente omologata, come il poeta profetizzava, non c’è posto per la poesia dissacrante dei moderni miti del progresso economico e della tecnologia. Il cinema di intrattenimento e politicamente corretto è l’unico prodotto fruibile dalle masse. Questo film oggi non si offre al consumo e forse non potrebbe essere nemmeno più prodotto. Chi oserebbe dire oggi che la Germania opulenta e capitalistica del dopoguerra è la continuazione in modi diversi di quella nazista, che è impossibile qualsiasi ribellione al sistema se non nella forma estrema del sacrificio rituale del proprio corpo, senza essere additato come pazzo o peggio. Non disturbare il manovratore è la parola d’ordine e del resto il treno in corsa nella sua fuga inarrestabile verso il futuro radioso di una crescita economica senza fine e di infiniti consumi di beni superflui non prevede ci sia un conducente e le fermate sono state abolite.
Pasolini finirà come il sue eroe, morto non morto, sospeso in un sogno, in un coma cosciente ed onirico, né obbediente, né disobbediente, nell’impossibilità di schierarsi uniformandosi al potere o al conformismo dei giovani contestatori del suo tempo, infine, vittima predestinata, si offrirà in pasto ai maiali, metaforicamente intesi come creature bestialmente primitive ed al contempo innocenti, simili a quei cannibali protagonisti della parte ambientata sulle pendici dell'Etna in un passato che potrebbe essere il medioevo o indifferentemente quello preistorico per l’assenza dei dialoghi, prima di ogni linguaggio e delle mistificazioni, cui si presta per sua natura, destinate a coprire l’essenza dei rapporti umani. E’ l’unica scelta per il poeta per sottrarsi alla porcilaia dei potenti che governano il mondo, dopo il felice connubio tra il vecchio capitalismo pseudo umanista ottocentesco e la nuova imprenditoria del novecento animata dalla esaltazione della tecnica come pura volontà di dominio.
Porcile è l’annuncio pubblico e poetico di un progetto suicidario nel quale l’autodistruzione dell’arte, come espressione sublime di una ribellione senza compromessi, si trasforma, da rassegnata consapevolezza della propria impotenza, in atto emblematico di rivolta, da non tramandare perché destabilizzante. Per questo il capitalista ex nazista, impersonato da Tognazzi, raccomanda ai contadini, che narrano, senza comprenderla, quella storia terribile, di fare silenzio, perché non si sappia che un poeta, un nuovo Cristo, si è immolato per una ancora estrema possibile redenzione-rivolta dell’Uomo contro il Potere. Anche in questo Pasolini fu profeta, il suo sacrificio in quanto tale fu taciuto e consegnato travisato alla storia come fattaccio di cronaca nera o interpretato dalle teorie del complotto come omicidio politico.
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