Di primo acchito può sembrare un classico giallo alla Dario Argento. Ma non è proprio così. Nel film sono disseminati rinvii simbolici, occultati in modo quasi subliminale, alla doppiezza della filosofia di vita piccolo borghese, che si materializza nella duplicità di un oggetto comune, il regalo che la maestrina di una piccola scuola di campagna fa al macellaio del paese, suo unico, timido e gentile spasimante. Un accendino, che metaforicamente richiama anche alla mente la fiamma della passione che la donna cerca di attizzare nell’uomo, spinta dall’impellenza biologica di generare.
La doppiezza è, innanzitutto, nella protagonista, interpretata da Stéphane Audran, che si è rifugiata nel borgo di Tremolat, in una sorta di volontario eremitaggio claustrale, dopo una cocente delusione d’amore, come un’anacronistica eroina di un romanzo dell’ottocento, e che, tuttavia, fuma disinvoltamente in strada, come segno di modernità e di conquista femminista, quasi a voler rompere le consuetudini e scandalizzare la morale bigotta e provinciale dei suoi concittadini. La direttrice perbenista e attenta all’educazione dei suoi piccoli allievi, tanto che rimprovera l’amico che, in loro presenza, definisce canaglia la sua vecchia maestra d’un tempo, non ha, invece, esitazioni nel nascondere gli indizi che portano diritto all’assassino, autore degli efferati delitti seriali che sconvolgono la tranquilla vita della comunità di cui è una stimata esponente, mettendosi contro la legge, le istituzioni e la regola fondamentale dell’etica che sta alla base di qualsiasi convivenza umana: non uccidere.
Nella visita della scolaresca alla grotta, sulle cui pareti sono effigiate le pitture dell’uomo di Cro-Magnon, è forse da ricercare il motivo psicologico dell’altrimenti inspiegabile presa di posizione della donna, che, illustrando la vita degli uomini primitivi ai suoi allievi, afferma che essi lottavano per la sopravvivenza e che sopravvivere significa restare in vita. Proteggere a qualsiasi costo l’uomo che ama e da cui è riamata, che si era intenerito guardandola mentre nel bosco era in compagnia di due bambini, segno di una predisposizione alla paternità, ha lo scopo inconfessabile, quindi, di soddisfare il bisogno ancestrale di procreare assicurando comunque la continuità della vita a prescindere da qualsiasi giudizio etico. E’ la legge della sopravvivenza, senza la quale voi bambini non sareste qui rimarca la maestrina, che prevale su tutte le altre regole, che sono soltanto parvenze ipocrite che servono a giustificare al piccolo borghese, nei confronti della propria coscienza ed al cospetto degli altri, la natura essenzialmente criminale della propria condotta.
Peraltro la morte degli altri è da mettere in conto come un fatto inevitabile, da accettare per il bene supremo della vita, beninteso della propria vita e della propria prole. Non si uccidono forse agnelli innocenti per assaporarne i cosciotti, in guerra non si contano forse i morti a camionate? Pensa il macellaio, anima gemella e degno mancato sposo ideale dell’oscena maestrina.
La colonna sonora che sottolinea in modo angoscioso le scene di maggior suspense, preannunciando l’arrivo o per segnalare la presenza della figura dell’assassino maniacale, riproducendone nelle disarmonie acustiche i disturbi schizofrenici, ricorda molto quella di alcuni film di Argento degli anni ’70.
Ma il paragone si ferma qui.
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