2001: Odissea nello spazio |
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Un film di Stanley Kubrick.
Con Keir Dullea, Gary Lockwood, William Sylvester, Daniel Richter.
continua»
Titolo originale 2001: A Space Odyssey.
Fantascienza,
Ratings: Kids+16,
durata 140 min.
- USA, Gran Bretagna 1968.
- Warner Bros Italia
uscita lunedì 13 febbraio 2023.
MYMONETRO
2001: Odissea nello spazio
valutazione media:
4,84
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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L'alba dell'uomodi Paolo 67Feedback: 9827 | altri commenti e recensioni di Paolo 67 |
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giovedì 3 novembre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Parlare di "2001" è come parlare della storia del cinema. Le esaurisce tutte, dal film per la televisione allo sperimentalismo underground, nella anche spettacolarmente genialissima intuizione del monolito come spazio nero in cui tutto si genera e lavagna su cui tutto si scrive. Come ha fatto rilevare Enrico Ghezzi, questo celebrato capolavoro, talmente geniale che visto oggi sembra un -altro genere- documentario, è soprattutto un film di interni, il cui misterioso rapporto col fuori dell'Universo è suggellato nel finale del film. Che sia, come si è detto, una illustrazione dei concetti del filosofo Nietzsche o di una teologia laico-materialistica non è più importante del suo raffigurare nel meraviglioso ciò che la ragione non può comprendere e la parola non può dire. Dopo le iniziali stroncature, la critica si allineò al successo decretato dal pubblico, le cui avanguardie furono i giovani che videro nel film l'equivalente di un viaggio psichedelico. Con questo film la fantascienza -se di fantascienza si può parlare-, da genere infantile quando non stupido (in certi casi erotico) quale era considerato diventa adulta, anzi scavalca l'esperienza adulta della ragione umana giunta a un momento di crisi di cui il film è anche drammatica testimonianza. La psicoanalisi, una delle chiavi interpretative di Kubrick, torna nel rapporto edipico del computer col suo creatore (tema che verrà ripreso persino in "Star Trek"), un dramma in chiave cosmica paradigmatico di un futuro possibile, ma il destino dell'umanità è visto in chiave apocalittica, coll'uomo tecnologico anello mancante tra l'animale e un uomo-altro (bambino), per sempre affrancato dalla violenza e dalle profonde e perpetue contraddizioni che tutta l'opera di Kubrick esplora. Affiora nel secondo episodio, che si distingue per la sua euforia contrapposta, tranne il finale, brusco come altri di Kubrick, all'allucinata angoscia del resto dell'opera (pensiamo all'immensa malinconia delle sequenze del "Discovery"), una nota nostalgica, esplicita nel valzer viennese, che rivela le origini mitteleuropee dell'autore, senza che egli manchi di andare a bersaglio con la consueta ironia soprattutto nella prima parte, dove un umorismo sardonico è presente nel sottolineare le tappe dell'evoluzione dell'umanità (e ritorna nelle scene sulla Luna, dove una ridicola foto-ricordo è interrotta dal misterioso e lancinante sibilo del monolito). Il fascino del film sta nel mistero che conserva mostrando l'uomo al confronto con un'altra civiltà, che potrebbe essere benissimo una coscienza immortale che faccia parte dell'intero Universo. Qualcuno, facendo riferimenti collo sviluppo successivo del cinema di Kubrick, ha ipotizzato un disegno del cosmo in forma satanica, ma il film si rivela rispettoso verso qualsiasi concezione religiosa (tanto è vero che è nella lista dei film più importanti filosoficamente della storia del cinema elaborata dalla Chiesa cattolica). Quanto al monolito, che monopolizza gli interrogativi sul simbolismo del film, bisogna rendere omaggio al suo vero ideatore come simbolo metafisico: lo scrittore Arthur Clarke, autore dei tre libri (La sentinella, Incontro al crepuscolo e L'angelo custode) da cui Kubrick trasse ispirazione e cosceneggiatore del film. Nella sua ambizione (in questo senso forse il film che osa più della storia del cinema) "2001" rappresenta anche l'Universo come mente (é in effetti la raffigurazione di una misura mentale umana) di cui le armonie del compositore ungherese Ligeti rendono l'astrattezza ma anche una inquietante sensazione insieme di sgomentevole lontananza e strana familiarità. L'esperienza ineffabile metafisica, il sentimento di tutto (quello che avrebbe voluto raggiungere Fellini col "Viaggio di G. Mastorna" ma che gli è riuscito qua e là in più di un altro film). Nel suo continuo farsi forma di spettacolo, in una circolarità da nastro di Moebius in cui tutto è, è stato e sarà, il film è anche un personalissimo modo di rinnovare la parentela stretta tra la fiaba e il racconto dell'orrore (come farà in "Shining"), dimostrando l'importanza del Mito nella Storia. Nell'Universo come lo conosciamo, il principio della vita è la morte, e la riduzione simbolica del monolito è il mistero che non si chiarisce (la stessa intelligenza umana, la nascita della tecnologia è legata a un gesto omicida). Quello che è stato chiamato il pessimismo di Kubrick si converte soltanto nel passaggio all'Utopia: oltre i limiti umani, comprese le necessità fisiologiche, oltre il tempo (come già avviene nella stanza del Settecento), comunque concetto razionale (l'astronauta ha accesso alla quarta dimensione dopo aver disattivato la memoria terminale di Hal, in una sequenza chiaramente allegorica), in uno stato fetale (viene in mente l'assioma secondo il quale non è l'uovo l'espediente della natura perchè esista la gallina, ma la gallina l'espediente della natura per portare da un uovo a un altro uovo). Ma è il film a esaurire ogni possibile spiegazione, lo fa letteralmente. Domina il genio di Kubrick, luminoso, algido (e plumbeo), a portare al limite delle zone oscure dove può farci da guida solo la nostra immaginazione. Quando si fa così si va sempre avanti, e non solo nella storia del cinema.
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