Lontano dal Vietnam |
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Un film di Claude Lelouch, Alain Resnais, Agnès Varda, William Klein, Joris Ivens.
Con Bernard Fresson, Valérie Mayoux, Anne Bellec
Titolo originale Loin du Viet-Nam.
Documentario,
b/n
durata 120 min.
- Francia 1967.
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Un Vietnam ancora attualedi Paola Di GiuseppeFeedback: 25414 | altri commenti e recensioni di Paola Di Giuseppe |
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venerdì 15 ottobre 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Film collettivo,importante testimonianza di una grande stagione di impegno civile e intellettuale,non fu mai messo in onda in tv,passò dopo anni nelle sale cinematografiche e ben presto fu ritirato per allarme attentati, dopo il ritrovamento di ordigni. A visione ultimata restano scolpiti nella memoria i quadri di vita quotidiana in luoghi dove ogni giorno, per anni, piovvero bombe, quel rifugiarsi dentro buche scavate nei marciapiedi al suono della sirena, quella calma nel resistere e inventare strategie di difesa di poveri che subirono “un crimine quotidiano”(Ivens, che aveva già una lunga esperienza del Vietnam avendo girato Le 17ème paralléle e Vietnam en guerre, disse che “a forza di vivere con loro si diventa calmi come loro, e sicuri della vittoria”). Spezzoni da manifestazioni nelle strade dell’Occidente progredito, scontri con la polizia e le solite parole dei potenti, il vicepresidente Humphrey per la circostanza,venuto nel ‘67 “a farsi un’idea sull’Europa e su cosa pensa della politica americana”,che suonano criminosa mistificazione messe vicine alle riprese dei morti dopo il bombardamento di Hanoi nel dicembre ’66. Ma ci fu anche chi sfilò con cartelli “Meglio morti che comunisti”, vennero da tutto il mondo a New York per sostenere l’America: “America, il mondo libero conta su di te!”, sfilavano preceduti da banda e majorettes, c’era anche il cardinale Spellman, un pope s’intravede a distanza e John Lindsay, sindaco di New York, fa una bella battuta molto american style “Beh, è una parata, e una parata non è che una parata!”.Poi tutti recitano il Pater noster mentre girano poliziotti rilassati e sorridenti. Ognuno dei sei registi(Godard,Resnais,Ivens,Klein,Varda,Lelouch) ha dato alla sua testimonianza il taglio che la sua poetica gli ha suggerito, come Godard che sceglie il “saggio filmato” e in Camera Oeil parla da dietro la mdp del suo disagio di star lì invece che sul posto e della decisione di “farsi invadere dal Vietnam” nel suo quotidiano, nei suoi film, in qualunque modo, “perché è difficile parlare delle bombe quando non ti cadono sulla testa…..e si ha un bel dire che il nostro cuore sanguina, ma di fatto questo sangue non ha alcun rapporto con quello di un qualsiasi ferito”. Resnais mette in scena l’intellettuale parigino impegnato, Claude Ridder, che deve recensire un libro di Kahn sull’escalation, “voce contraddittoria, patetica e a suo modo onesta, la voce della cattiva coscienza e dunque della malafede”. Nel frammento 9 Fidel Castro fa una lezione sulla guerriglia, lotta armata imposta dagli oppressori al popolo, e ancora riesce a commuovere sentire le parole di Ann Uyen, nel frammento 10, ricordare il sacrificio di Norman Morrison, cittadino americano che nel ’65 si diede fuoco davanti al Pentagono per testimoniare la violenza fatta ai vietnamiti dai suoi compatrioti. Il senso ancora oggi attuale del lungo docu-film si può raccogliere in queste parole che la voice over pronuncia nel finale: “Noi siamo lontani dal Vietnam e il Vietnam delle nostre emozioni e indignazioni a volte è lontano dal vero Vietnam quanto lo sarebbe l’indifferenza.Viviamo in una società che ha spinto molto oltre l’arte di nascondere i propri fini, le proprie vertigini e soprattutto la propria violenza”.
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