Salvatore Giuliano

Torna il capolavoro di Francesco Rosi del'62 sulla morte del bandito siciliano Com'è attuale Salvatore Giuliano

Tommaso Besozzi, un famoso giornalista dell'epoca che: aveva seguito il caso Salvatore Giuliano, scrisse nel pezzo ché raccontava la morte del bandito un famoso incipit: «Di sicuro c'è solo che è morto». Di certo c'è anche che Francesco Rosi, su queste incertezze, sulle ipotesi, sugli intrecci, sul mistero Giuliano, ha costruito quarantacinque anni fa uno dei capolavori del cinema civile e politico italiano, e non solo. «Cercare con un film la verità significa collegare origini e cause degli avvenimenti narrati con gli effetti che ne sono conseguenza» scriveva Rosi ad apertura,del bel libro di Tullio Kezich sulla lavorazione del film che Cinecittà ha ripubblicata nel 1999. Ed è quello che Rosi ha fatto con maestria.
Il film fu girato tra la primavera e l'estate del 1961 sui luoghi reali degli eventi, undici anni dopo quel 5 luglio 1950 in cui Salvatore Giuliano, Turiddu, il «Ce» di Montelepre, già comandante dell'esercito separatista siciliano, poi bandito al servizio degli interessi latifondistici mafiosi (per cui capitanò l'eccidio di Portella della Ginestra), protagonista di intrecci con il potere, coperto e poi scoperto da protezioni e amicizie, venne trovato morto assassinato nella casa dell'avvocato De Maria a Castelvetrano. Da chi? Il film di Francesco Rosi sulla base di una documentazione molto seria, e nello splendore di tre diversi toni di bianco e nero (firmato Di Venanzo), ricostruisce la vicenda e le ipotesi più accreditate con una struttura a flash back che all'epoca era sorprendente e sconvolgente e che adesso resta di classica bellezza e un esempio di cinema appassionato e potente. Certo, il Palazzo non fu contento del film, e la Mostra di Venezia lo etichettò come «documentario» per toglierlo di torno. Ma la critica lo risarei: Georges Sadoul apri la sua recensione con un lapidario «Il film è bello». In realtà, è bellissimo. E ora arriva accompagnato da una serie di extra tra cui un intervento dello storico Francesco Renda.
Da Il Venerdì di Repubblica, 21 settembre 2007

di Irene Bignardi, 21 settembre 2007