I quattrocento colpi |
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Un film di François Truffaut.
Con Jean-Pierre Léaud, Albert Rémy, Claire Maurier, Patrick Auffay, Georges Flamant.
continua»
Titolo originale Les 400 coups.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
b/n
durata 93 min.
- Francia 1959.
- Cineteca di Bologna
uscita giovedì 25 settembre 2014.
MYMONETRO
I quattrocento colpi ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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La dura arte di essere compresi
di molinari marcoFeedback: 2225 | altri commenti e recensioni di molinari marco |
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mercoledì 10 agosto 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Vi sono differenti tipi di cinema. Vi è il cinema spettacolare delle grandi produzioni, il cinema commerciale senza alcuna pretesa artistica, i B- movie che fanno tanto gola agli pseudointenditori, il cinema di genere e via dicendo. E poi vi è il cinema d’autore, vale a dire quel tipo di cinema dove la mano del regista tutto ad un tratto è diventata più importante degli attori che vi recitano. Ed è proprio grazie ai Quattrocento colpi di Truffaut, un film che pur non essendo tra i primi lavori della Nouvelle Vague ha comunque contribuito alla sua diffusione in tutto il mondo, che un tale cinema ha iniziato ad aver maggior fortuna nei circuiti cinematografici. Una trama quasi inesistente e dei personaggi ben delineati che si muovono su uno sfondo che lo spettatore riconosce immediatamente come suo sono gli ingredienti principali che hanno fatto di questo film un classico. Antoine Doinel è un ragazzino che sin dalla prima scena è costretto a fare i conti con un mondo che vuole emarginarlo e che pare disposto soltanto a punirlo per dei crimini di cui non è colpevole, o per lo meno dei quali non è più colpevole rispetto a tutti quelli che gli gravitano intorno. Quello che viene portato in scena è il dramma universale dell’uomo che viene da subito educato a sottomettersi ad alcune regole che sembrano state fatte appositamente per sottrargli la felicità, e dalle quali l’unica possibilità di salvezza è costituita dalla fuga. Una fuga molto simile a quella di Antoine verso il mare, ovvero lontano dalla terraferma dove l’uomo ha avuto la meglio sulla natura. Il mare inteso, quindi, come luogo incontaminato ed in cui è possibile assaporare per qualche attimo l’essenza più intima della libertà, insieme all’illusione di potercela fare anche da soli in barba a tutto e a tutti. Una fuga che però, a ben guardare, può avere come destinazione finale solo l’utopia e che ci costringe il più delle volte a fare un passo indietro e a guardarci in faccia (il mirabile fermo immagine con cui si conclude quest’opera), forzandoci a ritornare nel grembo matrigno della società. Una società non disposta ad udire voci fuori dal coro: l’unica persona che si ferma ad ascoltare Antoine è un’assistente sociale, vale a dire una che è pagata per farlo e dalla quale bisogna guardarsi bene da cosa dire se non si vuole andare incontro ad ulteriori punizioni. Una società, infine, dedita al vizio di rilegarci in uno spazio sempre più piccolo ed angusto, e dal quale è impossibile assaporare la vera vita. Significativa, in tale direzione, è la tecnica visiva adottata da Truffaut che ci permette di notare come ad Antoine venga di volta in volta tolto sottratto sempre più spazio: in aula viene rilegato dietro la lavagna, in casa viene sistemato in uno spazio a dir poco asfissiante, per poi arrivare agli stretti corridoi del commissariato in cui si infrangono le speranze di Antoine di assaporare le bellezze della capitale francese. Indimenticabile, quindi, risulta l’espediente di farci osservare Parigi (presumibilmente la città più bella del mondo) da dietro le sbarre del cellulare della polizia che sta portando Antoine in riformatorio. Un’opera in grado di mettere in risalto sentimenti universali (chi non è mai stato vittima di un’ingiustizia?), attraverso dei personaggi ben delineati sotto il profilo psicologico (non a caso il riferimento a Balzac) e che è stata premiata con la Palma d’Oro al Festival di Cannes del 1959.
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