"Il posto delle fragole" è, a mio avviso, insieme a "Il settimo sigillo", il più grande film di Bergman.
Ora, ci si sarà ormai stancati della solita e abusata definizione di "capolavoro", ma in questo caso non c'è veramente altro termine per definire questa pellicola bergmaniana.
Questo film è un'opera con la quale il grande cineasta svedese sorprende ancora una volta per la sua profondissima ricerca nei meandri dell'animo umano. Pochissimi altri film (mi balzano alla mente solo "Vivere" di Kurosawa ed "Umberto D di De Sica) hanno saputo rappresentare in maniera così intensa e sentita una vicenda umana.
Attraverso la storia del professor Isak Borg viene magistralmente descritto il dramma esistenziale di un uomo all'epilogo della sua vita che, passato e concluso il suo percorso lavorativo, si ferma a riflettere sul senso della sua esistenza e sulla bontà della sua condotta. Il risultato è angosciante: il vecchio professore è costretto a svestire i panni della formalità professionale dopo cinquant'anni di onorata carriera e a rimanere, per così dire, nudo di fronte alla vita. A questo punto l'uomo intraprende un viaggio con la nuora per recarsi a ritirare il premio del suo giubileo professionale (viaggio concreto ma soprattutto spirituale e mentale) e, attraverso un labirinto sempre più fitto e imperscutabile di sogni, incubi, pensieri e ricordi, scopre di non aver mai vissuto una vera vita bensì una vita finta, parziale e relegata al suo solo microcosmo fatto di egoismo, freddezza e indifferenza verso gli altri a favore della sua carriera.
Il professore durante il viaggio inizia pian piano a rendersi conto del vero senso della vita, anche favorito dall'incontro con dei vivaci e brillanti giovani, dalla visita all'anziana madre, dal ritorno alla casa della sua giovinezza: vivere per gli altri e amare pienamente facendo prevalere i rapporti umani basati sulla bontà e sulla comprensione ai propri interessi e al proprio egoismo.
Dal punto di vista stilistico il tono è quello classico di Bergman, esteticamente semplice ma impeccabile proprio per la sua sobrietà, e lo sviluppo narrativo è, per certi versi, simile a quello felliniano nell'uso della dimensione onirica per sviluppare il racconto e per rompere le "convenzioni" del tempo e dello spazio.
Ne "Il posto delle fragole", come in molti altri suoi film il regista svedese "parla attraverso i silenzi" (come nella splendida sequenza del sogno iniziale, quasi priva di parole) che permettono allo spettatore di immergersi in un vero e proprio tono contemplativo tramite immagini che puntano dritto all'anima. La straordinarietà di Bergman è stata proprio quella di portare sul grande schermo le emozioni, le angosce e i più grandi turbamenti degli esseri umani attraverso una vera e profonda religiosità che traspare chiaramente anche (e forse nella sua espressione più intima) in questo film.
Per finire, mi sembra doveroso menzionare l'interpretazione di Victor Sjostrom nei panni del professor Borg, veramente sublime per come è riuscito a trasmettere con straordinaria sempicità e pacatezza un percorso esistenziale così intricato e profondo.
Insomma, per chi vede il cinema non solo come un bel passatempo o come intrattenimento, ma come un'arte attraverso cui trovare l'occasione per capire un po' di più come vivere, ecco a voi Bergman, ecco a voi "Il posto delle fragole".
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