Si può dire che Ozu durante tutta la sua carriera artistica abbia girato sempre lo stesso identico film. Declinato in tutte le sue opere maggiori in forme diverse, centrale e centripeto, c’è il tema, ossessivamente ripercorso, della famiglia giapponese del secondo dopoguerra, colta nel passaggio epocale e drammatico da una millenaria civiltà contadina patriarcale alla modernità importata dagli occidentali, quando al tramonto delle antiche tradizioni, si stagliava minaccioso e pervasivo all’orizzonte un nuovo modo d’essere, che si annunciava, già ai suoi albori, vincente nel condizionare i costumi e la mentalità, presto imbarbariti dallo stile di vita materialistico e consumistico dell’occupante americano.
Quest’opera del ’51 è soltanto uno dei capitoli del suo grande poema intimista, girato con uno sguardo melanconico e riflessivo sulla società nipponica del tardo novecento dalla prospettiva, in apparenza angusta, dell’angolo buio di una piccola casa borghese, dove, acquattata e nascosta, Ozu ha collocato immobile la sua cinepresa, come un gatto che osservi curioso il tran tran quotidiano del suo ospite umano.
L’epica della gente comune nel trascorrere lento ed inesorabile del tempo è rappresentata da una famiglia del ceto medio alle prese con le piccole beghe quotidiane, le preoccupazioni per una figlia in età da marito, da sistemare in modo onorevole e conveniente con un matrimonio combinato, l’educazione dei bambini caoticamente esuberanti e prepotenti, le cure affettuose per il vecchio zio sordo che tuttavia rimane incantato ad ascoltare i canarini ed assiste estasiato ad uno spettacolo di teatro Kabuki.
Due sono i personaggi chiave di questo dramma, come nello stile di Ozu, girato con i toni della commedia: la Natura, impietosa nel destinare i padri all’oblio ed al contempo generosa nel far fiorire nuove generazioni e Noriko, la stessa protagonista, identico sia il personaggio che l’attrice, di Viaggio a Tokio e di tanti altri film, che rinuncia alle ricchezze e agli agi promessi da un matrimonio di interesse per la vita modesta in una piccola cittadina di campagna, Akita, per stare accanto all’uomo che ama.
Noriko la ribelle, femminista ante litteram, Noriko la tradizionalista, è la trasposizione, nella famiglia e nella società giapponese, della Natura stessa, ne incarna, quasi in modo soprannaturale, l’essenza, ovvero la capacità di preservare magicamente l’antico nel nuovo, pur nell’inevitabile rinnovamento del ciclo vitale e lo scomparire delle morte stagioni.
Gli altri personaggi costituiscono il coro delle tragedie greche e ripetono schematicamente e senza libertà d’azione la parte assegnata, interpretando il ruolo che la società, le vecchie usanze o le nuove mode occidentali, hanno scelto per loro.
Nella scena finale dei campi di grano, mossi dal vento, in primo piano, mentre, sullo sfondo, gli anziani genitori sono lasciati ai ricordi dei tempi in cui furono felici, è riassunto il sentimento cardine su cui ruota tutta la pellicola e la poetica di Ozu, il mono no aware, la nostalgia per le cose che non ci sono più, trasformate in altro dal tempo, nell’incanto meravigliato della natura, che di questi mutamenti si nutre per rinnovare l’eterna bellezza del mondo.
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