Viale del tramonto

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Un film di Billy Wilder. Con William Holden, Gloria Swanson, Erich von Stroheim, Nancy Olson, Fred Clark.
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Titolo originale Sunset Boulevard. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 110 min. - USA 1950. MYMONETRO Viale del tramonto * * * * 1/2 valutazione media: 4,90 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Wilder tocca gli apogei di gloria con questo film. Valutazione 5 stelle su cinque

di Great Steven


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martedì 18 novembre 2014

VIALE DEL TRAMONTO (USA, 1950) diretto da BILLY WILDER. Interpretato da GLORIA SWANSON – WILLIAM HOLDEN – ERIC VON STROHEIM – FRED CLARK – NANCY OLSON – BUSTER KEATON – CECIL B. DE MILLE § Joe Gillis, un giovane e disoccupato sceneggiatore di Hollywood, è in un momento di difficoltà professionale. Per sfuggire agli esattori (non sta pagando le rate della macchina), capita in una vecchia casa che sembra abbandonata, ma non lo è. Vi abita Norma Desmond, vecchia gloria del cinema muto. Joe accetta di rivedere un terribile copione che l’ex diva sta scrivendo, sognando un clamoroso ritorno sul set. L’atmosfera della villa è buia, nera, quasi mortale. L’attrice proietta continuamente suoi vecchi film, gli ospiti sono mummie sopravvissute. Figura rilevante è il maggiordomo von Mayerling che, si verrà a sapere, è stato anche il primo marito di Norma. Lo sceneggiatore va dunque a vivere con la ricca e anziana star, prigioniera delirante del suo passato, facendosi da lei mantenere. La donna finisce per innamorarsi del giovane, a sua volta innamorato di una sua collega coetanea, fidanzata di un suo caro amico. Gillis per qualche tempo accetta la situazione del mantenuto, poi cede. Ma Norma, ormai impazzita, gli spara mentre sta andandosene. L’uomo cade nella piscina, simbolo delle cose che aveva desiderato. Storia solo cinematografica, dovuta a sceneggiatori puri come Charles Brackett e D. M. Marshan e allo stesso Wilder. La vicenda viene raccontata da Holden che è già morto, in terza persona. Il copione prevedeva che il personaggio, portato all’obitorio, addirittura dialogasse con gli altri cadaveri. La voce narrante, accompagnata dalla colonna sonora di Waxman che anticipa nei toni tutta la tragedia che avverrà, attraversa il film rilanciando l’efficacia del racconto. Tutto quanto è nello specifico cinematografico: i discorsi di sceneggiature, la vita negli studi, persino il mitico cancello d’ingresso della Paramount. La Desmond vive la tragica nostalgia del cinema muto: «Noi eravamo grandi, è il cinema che è diventato piccolo», e De Mille interpreta sé stesso con tanto di stivaletti e piglio autoritario. Sta girando Sansone e Dalila quando la vecchia diva gli piomba sul set. Una menzione per W. Holden, trentaduenne, che finalmente si affermò come meritava, e che sostituì all’ultimo momento il complicato Montgomery Clift, intimorito dal ruolo. Il tutto fotografato con un bianco e nero pericoloso che sottende un’angoscia continua. Le interpretazioni costituiscono un eccellente punto di forza della pellicola nonché il luogo d’appoggio della leva che determina la differenza tra un film girato a modo e un altro fatto alla carlona: Holden è uno scrittore in crisi, ma con idee pur sempre valide e brillanti, che accetta di recitare la parte del mantenuto perché potrebbe giovargli in fatto di sensazioni importanti e spunti interessanti, e le sue battute sono tra le più fulminanti e decisive fra tutte quelle del film, inoltre il suo atteggiamento distaccato, flemmatico e pragmatico regala al pubblico un personaggio come pochi se ne sono visti in tutto il panorama produttivo del cinema americano prima maniera; G. Swanson, che interpretò in tutta la sua carriera un numero esiguo di film, è perfetta nell’incarnare una compassata, trasandata e ammattita attrice che vive nel ricordo dei capolavori che girò quand’era giovane, e che non riesce, a discapito suo e di chi le sta intorno, a scrollarsi di dosso il suo magnifico passato ricco di soddisfazioni artistiche e professionali, creando un vuoto intorno a sé che potrà essere colmato solamente dalla sua eccessiva pazzia nel momento finale in cui le sembra davvero (nonostante tutto sia congegnato abilmente per farle credere che sia reale) di ritornare in scena con abiti sontuosi e faraonici, ripresa da una telecamera dell’amico De Mille, che va a visitare dopo tanti anni negli studios della Paramount; von Stroheim, anche stimatissimo e capacissimo regista, interpreta con carisma puntiglioso e pazienza inverosimile il domestico della villa, che spiega al protagonista maschile tutti i trucchi e gli ingegni della casa per impedire alla padrona della villa di suicidarsi come già aveva tentato di fare in precedenza, e per giunta si nasconde dietro un’ombra di pudore e anonimato pur avendo avuto in passato una relazione amorosa con la protagonista femminile (la quale ha all’attivo tre mariti con cui ha divorziato), e senza ombra di dubbio il suo personaggio è quello che lascia dietro di sé il più grosso alone di mistero e sospettabilità, benché la caratterizzazione sia ottima e priva di difetti emergenti o affioranti in qualunque modo; N. Olson, in una parte secondaria ma comunque importante, è una deliziosa e graziosa sceneggiatrice che ricambia l’amore che Holden prova nei suoi confronti, tradendo dunque l’amico comune e fidanzato di lei impegnato in Arizona, e il suo personaggio si contraddistingue per candida innocenza, delicatezza tipicamente femminile e dolcezza suadente (in netta contrapposizione con la vecchia star della Swanson), anche perché lei insegue il successo a distanza e, data la sua età arretrata (ventidue anni), deve ancora mangiare molto pane e percorrere parecchia strada, prima di approdare al successo. Le caratteristiche tecniche di questo film sono da apprezzare alquanto, e alzano di molto la media già di per sé eccezionale di un’opera che sicuramente rimarrà nell’immaginario collettivo come un panegirico indiscriminato e cattivissimo sul vieto mondo del cinema, sulle sue magagne e sui marchingegni che lo dominano e lo gestiscono da dietro le quinte: montaggio, fotografia, scenografia e produzione concorrono tutti insieme a definire le peculiarità straordinarie di una pellicola di difficile catalogazione, ma indubbiamente la ciliegia sulla torta di un banchetto prelibato e squisito che viene servito caldo e invitante sul tavolo a cui prenderanno parte spettatori esigenti, non facilmente soddisfabili e dal palato altamente schizzinoso, ma pur sempre di buongusto e impegnato. Questo film non è un noir, non è drammatico tradizionale, non è fantasy, è semplicemente Sunset Boulevard. II più caustico e sardonico film nero sul mondo di Hollywood. Melodramma amarissimo con risvolti da horror e sottofondi da commedia. Alcune memorabili scene, fra cui la partita a carte con B. Keaton. Sapiente regia: una pietra miliare nell’itinerario di Wilder. Splendide interpretazioni. Su nove nomination agli Oscar vinse quelli per la sceneggiatura e le musiche (Franz Waxman).

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