paola di giuseppe
|
venerdì 1 gennaio 2010
|
rashomon o dei labirinti dell’animo umano
|
|
|
|
Rashomon è la desolata constatazione della capacità dell’uomo di mentire, a sé stesso prima che agli altri.Il conclamato pirandellismo per cui va celebre (il relativismo della verità) è in fondo secondario e meno forte di questa raggelante affermazione,che si approfondisce e circostanzia man mano che la vicenda scorre,portando alla ribalta le differenti versioni dei protagonisti:un samurai è stato trovato ucciso in una radura del bosco,ognuno accusa sé stesso,facendo però ricadere la responsabilità morale sull’altro.Del delitto parlano tre personaggi sotto la porta di Rasho a Kyoto,mentre una pioggia diluviante riduce tutto ad acquitrino informe e i loro commenti sono pause di sospensione fra un atto e l’altro, stasimi corali di una tragedia in quattro atti, un preludio e un epilogo.
[+]
Rashomon è la desolata constatazione della capacità dell’uomo di mentire, a sé stesso prima che agli altri.Il conclamato pirandellismo per cui va celebre (il relativismo della verità) è in fondo secondario e meno forte di questa raggelante affermazione,che si approfondisce e circostanzia man mano che la vicenda scorre,portando alla ribalta le differenti versioni dei protagonisti:un samurai è stato trovato ucciso in una radura del bosco,ognuno accusa sé stesso,facendo però ricadere la responsabilità morale sull’altro.Del delitto parlano tre personaggi sotto la porta di Rasho a Kyoto,mentre una pioggia diluviante riduce tutto ad acquitrino informe e i loro commenti sono pause di sospensione fra un atto e l’altro, stasimi corali di una tragedia in quattro atti, un preludio e un epilogo.Ogni atto vede una versione diversa dell’accaduto,affidata al resoconto soggettivo di ciascuno. Il brigante Tajomaru accusa sé stesso “faceva un caldo spaventoso quel giorno,tutt’a un tratto cominciò a soffiare un venticello fresco,forse senza quella brezza l’uomo sarebbe ancora vivo”.La brezza ha sollevato il candido velo della donna che passa sul cavallo condotto a briglia dal marito samurai,la seduzione segue il suo corso,il samurai sarà legato ad un albero dalla forza agile e primitiva del bandito,la donna si difenderà con furia selvaggia ma sarà vinta dall’uomo e la mano bianchissima in primo piano che stringe la schiena sudata del bandito,mentre dall’altra le cade lentamente il pugnale,segnano il corso successivo della vicenda.
Da questo momento ognuno di loro avrà delle ragioni per non accettare più la condizione precedente, ma chi abbia ucciso il samurai,o se addirittura si sia suicidato,per il dolore e la vergogna,non sarà possibile saperlo,il vortice delle versioni contrastanti si arrotola su sé stesso come le volute del velo bianco della donna, che crea una cortina diafana dietro la quale la verità cambierà continuamente forma e sostanza.Ciò che alla fine emergerà sarà solo lo spaventoso labirinto dell’animo umano,abisso nel quali inoltrarsi è pura follia.Una follia buona però resta all’uomo,l’amore disinteressato.Quella che hanno definito “la finale moraluccia edificante piuttosto posticcia- che -non risolve ciò che dovrebbe risolvere”è il modo per Kurosawa di non arrendersi allo scetticismo paralizzante della ragione.Forse l’epilogo non ha la forza corrusca delle scene dei duelli, la leggerezza di sogno delle movenze di balletto di Masago o la ferina carica seduttiva da fauno di Tajomaru,certo il film svetta in ben altre scene,nel linguaggio silenzioso del bosco,in quello del sole che occhieggia tra i rami,nel ritmo che la mano di Hayasaka assegna alle variazioni del Bolero di Ravel o nella fotografia fortemente contrastata di Miyagawa, addirittura caravaggesca in certi scorci del bandito.Rashomon è un film compatto, annodato su sé stesso da una spinta così convulsiva e nichilista alla negazione/affermazione che lo sviluppo narrativo del finale può suonare stravagante o non in linea sul piano dello stile.Eppure è il recupero delle ragioni dell’uomo semplice,l’umanesimo di Kurosawa è un dato con cui non bisogna mai dimenticare di fare i conti.
[-]
[+] una sintesi critica di mirabile profondità
(di gianleo67)
[ - ] una sintesi critica di mirabile profondità
|
|
[+] lascia un commento a paola di giuseppe »
[ - ] lascia un commento a paola di giuseppe »
|
|
d'accordo? |
|
paola di giuseppe
|
|
rashomon o dei labirinti dell’animo umano
|
|
|
|
Rashomon è la desolata constatazione della capacità dell’uomo di mentire,a sé stesso prima che agli altri.Il conclamato pirandellismo per cui va celebre (il relativismo della verità) è in fondo secondario e meno forte di questa raggelante affermazione,che si approfondisce e circostanzia man mano che la vicenda scorre,portando alla ribalta le differenti versioni dei protagonisti:un samurai è stato trovato ucciso in una radura del bosco,ognuno accusa sé stesso,facendo però ricadere la responsabilità morale sull’altro.Del delitto parlano tre personaggi sotto la porta di Rasho a Kyoto,mentre una pioggia diluviante riduce tutto ad acquitrino informe e i loro commenti sono pause di sospensione fra un atto e l’altro, stasimi corali di una tragedia in quattro atti, un preludio e un epilogo.
[+]
Rashomon è la desolata constatazione della capacità dell’uomo di mentire,a sé stesso prima che agli altri.Il conclamato pirandellismo per cui va celebre (il relativismo della verità) è in fondo secondario e meno forte di questa raggelante affermazione,che si approfondisce e circostanzia man mano che la vicenda scorre,portando alla ribalta le differenti versioni dei protagonisti:un samurai è stato trovato ucciso in una radura del bosco,ognuno accusa sé stesso,facendo però ricadere la responsabilità morale sull’altro.Del delitto parlano tre personaggi sotto la porta di Rasho a Kyoto,mentre una pioggia diluviante riduce tutto ad acquitrino informe e i loro commenti sono pause di sospensione fra un atto e l’altro, stasimi corali di una tragedia in quattro atti, un preludio e un epilogo.Ogni atto vede una versione diversa dell’accaduto,affidata al resoconto soggettivo di ciascuno. Il brigante Tajomaru accusa sé stesso “faceva un caldo spaventoso quel giorno,tutt’a un tratto cominciò a soffiare un venticello fresco,forse senza quella brezza l’uomo sarebbe ancora vivo”.La brezza ha sollevato il candido velo della donna che passa sul cavallo condotto a briglia dal marito samurai,la seduzione segue il suo corso,il samurai sarà legato ad un albero dalla forza agile e primitiva del bandito,la donna si difenderà con furia selvaggia ma sarà vinta dall’uomo e la mano bianchissima in primo piano che stringe la schiena sudata del bandito,mentre dall’altra le cade lentamente il pugnale,segnano il corso successivo della vicenda.
Da questo momento ognuno di loro avrà delle ragioni per non accettare più la condizione precedente, ma chi abbia ucciso il samurai,o se addirittura si sia suicidato,per il dolore e la vergogna,non sarà possibile saperlo,il vortice delle versioni contrastanti si arrotola su sé stesso come le volute del velo bianco della donna, che crea una cortina diafana dietro la quale la verità cambierà continuamente forma e sostanza.Ciò che alla fine emergerà sarà solo lo spaventoso labirinto dell’animo umano,abisso nel quali inoltrarsi è pura follia.Una follia buona però resta all’uomo,l’amore disinteressato.Quella che hanno definito “la finale moraluccia edificante piuttosto posticcia- che -non risolve ciò che dovrebbe risolvere”è il modo per Kurosawa di non arrendersi allo scetticismo paralizzante della ragione.Forse l’epilogo non ha la forza corrusca delle scene dei duelli, la leggerezza di sogno delle movenze di balletto di Masago o la ferina carica seduttiva da fauno di Tajomaru,certo il film svetta in ben altre scene,nel linguaggio silenzioso del bosco,in quello del sole che occhieggia tra i rami,nel ritmo che la mano di Hayasaka assegna alle variazioni del Bolero di Ravel o nella fotografia fortemente contrastata di Miyagawa, addirittura caravaggesca in certi scorci del bandito.Rashomon è un film compatto, annodato su sé stesso da una spinta così convulsiva e nichilista alla negazione/affermazione che lo sviluppo narrativo del finale può suonare stravagante o non in linea sul piano dello stile.Eppure è il recupero delle ragioni dell’uomo semplice,l’umanesimo di Kurosawa è un dato con cui non bisogna mai dimenticare di fare i conti.
[-]
[+] recensione da dieci
(di gio...)
[ - ] recensione da dieci
|
|
[+] lascia un commento a paola di giuseppe »
[ - ] lascia un commento a paola di giuseppe »
|
|
d'accordo? |
|
ziogiafo
|
giovedì 25 settembre 2008
|
la verità non ha un solo volto…
|
|
|
|
ziogiafo - Rashômon, Giappone, 1950 – Rashômon è un’opera emblematica di Akira Kurosawa, che ha fatto conoscere il grande cinema giapponese all'occidente e che racchiude un po’ tutta la profonda filosofia del suo grande autore che viene riportata sensibilmente in questa colta cinematografia. Il grande regista, rappresenta in questo film “il caos sociale” intorno all’uomo, in un periodo storico che precede secoli di guerre e cruenti tumulti in un Giappone disorientato dalle razzie, dal mercato nero, dalla violenza fisica e psicologica. Quasi per esorcizzare un triste futuro prevedibile, Kurosawa, concentra la sua grande riflessione sull’umana vicenda dell’epoca sotto il fatiscente portale Rashômon, che rappresenta la concentrazione dell’egoismo umano dove si svolgono le più illeciti attività.
[+]
ziogiafo - Rashômon, Giappone, 1950 – Rashômon è un’opera emblematica di Akira Kurosawa, che ha fatto conoscere il grande cinema giapponese all'occidente e che racchiude un po’ tutta la profonda filosofia del suo grande autore che viene riportata sensibilmente in questa colta cinematografia. Il grande regista, rappresenta in questo film “il caos sociale” intorno all’uomo, in un periodo storico che precede secoli di guerre e cruenti tumulti in un Giappone disorientato dalle razzie, dal mercato nero, dalla violenza fisica e psicologica. Quasi per esorcizzare un triste futuro prevedibile, Kurosawa, concentra la sua grande riflessione sull’umana vicenda dell’epoca sotto il fatiscente portale Rashômon, che rappresenta la concentrazione dell’egoismo umano dove si svolgono le più illeciti attività. Sotto una pioggia battente inizia questa accattivante storia che mette a nudo attraverso complesse metafore la crudeltà umana. L’ossessionante ricorrenza al numero “tre” da parte del regista (tre personaggi,tre indagati, tre alberi, ecc.) ci riporta ad un desiderio di ordine, ad una sorta di geometria ricercata per stabilire un concetto di fermezza nel narrare questo “caos sociale” in cui l’uomo era imprigionato. Un susseguirsi di raffinate immagini e di ombre che inseguono le metafore dei dialoghi che scavano sempre di più nella profondità dell’individuo, quasi creando un labirinto mentale da cui è difficile uscirne “lucidi”.
Un film complesso nella sua semplicità scenica, che coinvolge ed incuriosisce, proprio per questo paradosso che induce a riflettere sulla essenzialità della vita. Kurosawa ci dimostra anche, con questo film come il cinema non racconta necessariamente delle verità, ma ci può proporre delle realtà inesistenti, come un romanzo, come un’illusione filmata. Rashômon racconta e sottolinea la disgregazione morale come paradosso, alla ricerca di una verità che possa ripristinare i giusti parametri di vita, per ritrovare la speranza e l’amore per il prossimo, uscendo dalla menzogna e dall’egoismo, da quel profondo baratro in cui si era precipitati. Come qualcuno ha già detto… sul finale “il sole sorgerà ancora” ed ogni cosa potrà cambiare in maniera positiva se l’uomo lo vorrà.
La verità non ha un solo volto…
Cordialmente ziogiafo
[-]
|
|
[+] lascia un commento a ziogiafo »
[ - ] lascia un commento a ziogiafo »
|
|
d'accordo? |
|
tomdoniphon
|
sabato 28 giugno 2014
|
la porta del cinema giapponese
|
|
|
|
Giappone, XV secolo. In una giornata di pioggia incessante, un boscaiolo, un monaco ed un passante si fermano a raccontare, fornendo versioni contrastanti, un fatto increscioso avvenuto pochi anni prima. La versione finale del boscaiolo non andrà ad onore di nessuno dei tre. Il film vinse, nel 1951, a Venezia il Leone d'oro: fu un evento fondamentale nella storia del cinema. Rilevava non soltanto uno dei più grandi registi di sempre (Akira Kurosawa), ma più in generale il cinema giapponese, fino ad allora sconosciuto allo spettatore occidentale. Il cinema iniziò così a conoscere registi del calibro di Mizoguchi e di Ozu, i quali, insieme a Kurosawa, possono essere considerati "Le tre corone" del cinema giapponese.
[+]
Giappone, XV secolo. In una giornata di pioggia incessante, un boscaiolo, un monaco ed un passante si fermano a raccontare, fornendo versioni contrastanti, un fatto increscioso avvenuto pochi anni prima. La versione finale del boscaiolo non andrà ad onore di nessuno dei tre. Il film vinse, nel 1951, a Venezia il Leone d'oro: fu un evento fondamentale nella storia del cinema. Rilevava non soltanto uno dei più grandi registi di sempre (Akira Kurosawa), ma più in generale il cinema giapponese, fino ad allora sconosciuto allo spettatore occidentale. Il cinema iniziò così a conoscere registi del calibro di Mizoguchi e di Ozu, i quali, insieme a Kurosawa, possono essere considerati "Le tre corone" del cinema giapponese. "Rashomon" (nome della porta più grande di Kyoto) costituisce una straordinaria indagine sulla capacità dell'uomo di mentire (a se stesso prima che agli altri), oltre che sulla relatività della verità. Straordinaria la varietà di inquadrature nell'evocazione dei vari duelli, presentati, di volta in volta, secondo l'ottica soggettiva del narratore di turno. Un capolavoro che non ha perso nulla della propria forza ed espressività. Da confrontare, sul tema della relatività della verità, con il recente "Una separazione" dell'iraniano Farhadi.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a tomdoniphon »
[ - ] lascia un commento a tomdoniphon »
|
|
d'accordo? |
|
great steven
|
giovedì 26 marzo 2015
|
quattro versioni d'un delitto accaduto in un bosco
|
|
|
|
RASHOMON (GIAP, 1950) diretto da AKIRA KUROSAWA. Interpretato da TOSHIRO MIFUNE, MACHIKO KYO, MASAYUKI MORI, TAKASHI SHIMURA, MINORU CHIAKI, FUMIKO OMNA, KICHIJIRO UEDA, DAISUKE KATO
« La vita degli uomini è più effimera della rugiada che si scoglie nel primo mattino»: così il contadino interrogato dalla polizia conclude i suoi pensieri riguardo il fatto sul quale è stato costruito tutto il film. Del quale è opportuno analizzare gli aspetti caratteristici: in un passato dai contorni medioevali non meglio definito, un samurai viene ucciso in un bosco mentre vi passeggia tranquillamente in compagnia della moglie biancovestita.
[+]
RASHOMON (GIAP, 1950) diretto da AKIRA KUROSAWA. Interpretato da TOSHIRO MIFUNE, MACHIKO KYO, MASAYUKI MORI, TAKASHI SHIMURA, MINORU CHIAKI, FUMIKO OMNA, KICHIJIRO UEDA, DAISUKE KATO
« La vita degli uomini è più effimera della rugiada che si scoglie nel primo mattino»: così il contadino interrogato dalla polizia conclude i suoi pensieri riguardo il fatto sul quale è stato costruito tutto il film. Del quale è opportuno analizzare gli aspetti caratteristici: in un passato dai contorni medioevali non meglio definito, un samurai viene ucciso in un bosco mentre vi passeggia tranquillamente in compagnia della moglie biancovestita. Le circostanze e le cause della sua morte sono l’oggetto dei testimoni che hanno assistito al suo omicidio e che vanno a raccontare l’accaduto alle forze dell’ordine, informate tempestivamente del delitto. Il primo a parlare è l’agricoltore sopracitato, che riferisce di aver visto l’evento luttuoso quando si trovava di passaggio nel bosco. Una seconda versione viene fornita da un feroce e maniacale bandito, ritenuto senza troppa convinzione come il responsabile dell’assassinio del defunto, il quale ammette da reo confesso di aver commesso l’atto incriminato, ma solo perché spinto in quella direzione dalla donna. È poi quest’ultima a esporre la sua personale versione dei fatti, a un certo punto trasfigurata e distorta da un incantesimo metafisico che la fa parlare con la voce del marito morto. Intendendo ritrattare la sua precedente esposizione, il taglialegna consegna nelle mani della giustizia una quarta e ultima versione del reato, aggiungendo ai fatti già noti un duello appassionato combattuto ad armi pari fra il samurai e il brigante pazzoide. Il film si apre col taglialegna, il giovane sacerdote e il muratore che parlano dell’omicidio recentemente avvenuto al riparo sotto un tetto da un acquazzone scrosciante, e si chiude nel medesimo luogo col boscaiolo che se ne va portando in braccio un pargoletto piangente, abbandonato dai genitori per cause sconosciute. Kurosawa ha messo in piedi un apologo realistico ed esplicativo della vita umana, regolata spesso da leggi tribali silenziose e dominata irreversibilmente da come le cose vengono raccontate, quindi sempre secondo i punti di vista, tutti veri e tutti falsi al tempo stesso, senza che nessuno cerchi mai di inseguire una verità autentica che possa rendere gli esseri umani davanti di fronte alla legge e a un’eventuale entità superiore. La presenza di un dio osservatore e scrutatore è auspicata tacitamente da tutti i personaggi di questo film estremamente drammatico e riflessivo, ma poi le conseguenze delle loro azioni rimandano ad un destino gestito per intero da un’umanità destinata preventivamente al fallimento, al dubbio e alla vana evasione dai pericoli che l’esistenza predispone di fronte a loro, come un sadico e scanzonato gioco al massacro. Come in altre opere del regista, i suoi due attori feticci – lo squilibrato, nevrastenico Mifune e il meditabondo, riflessivo Shimura – prendono parte alle interpretazioni migliori, le quali sanno distinguersi per un piglio recitativo che rasenta il sublime grazie ad una ricerca certosina delle imperfezioni umane e a un impegno infinitesimale che permette ad entrambi un lavoro coerente e funzionale. Un’ultima nota, questa volta polemica, va rivolta alla critica europea e americana: è un peccato che, nel cosiddetto Occidente del nostro pianeta, il cinema giapponese venga ignorato e bollato come semplice e noiosa replica dei film in cappa e spada che si vedono comparire sovente nei due continenti summenzionati. La terra nipponica ha saputo figliare registi e attori da ammirare senza riserve per la passione con cui trattano temi elevati quali la giustizia umana di fronte al Padreterno, la necessità della violenza, l’utilità delle congregazioni di stampo militaresco e la difesa dei più deboli operata da individui eroici. Questi uomini artisticamente valenti (Mifune, Kurosawa, Shimura, ecc.) andrebbero rivalutati e riconsegnati all’onore che hanno saputo meritarsi diffondendo nel mondo un modo di girare i film che nessuno ha saputo imitare con lo stesso puntiglio laborioso e la stessa tensione narrativa ed elaborativa.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a great steven »
[ - ] lascia un commento a great steven »
|
|
d'accordo? |
|
goruz
|
martedì 31 agosto 2010
|
dove sta la verità?
|
|
|
|
Bello, bellissimo Rashomon! utilizzando sempre la stessa storia, l'omicidio di un samurai, Kurosawa ci racconta 4 storie ben diverse, e benchè discordanti ognuna è a suo modo vera, perchè mette bene a nudo il carattere della persona che racconta, ci dice qualcosa di lui, ci dimostra come la verità non sia qualcosa di oggettivo, ma che ognuno ha una sua visione della vita e dei fatti, elabora diversamente l'esperienza che vive. Mi accorgo che può sembrare una cosa banale, ma appunto spesso le cose banali sono le più difficili da trattare, perchè le diamo per scontate e le dimentichiamo: Kurosawa ci riesce in modo direi esemplare. e il bambino che viene portato via nel finale, metaforicamente riapre il circolo della vita dopo l'uccisione del samurai, e anche la sua visione del mondo si aggiungerà a innumerevoli altre.
[+]
Bello, bellissimo Rashomon! utilizzando sempre la stessa storia, l'omicidio di un samurai, Kurosawa ci racconta 4 storie ben diverse, e benchè discordanti ognuna è a suo modo vera, perchè mette bene a nudo il carattere della persona che racconta, ci dice qualcosa di lui, ci dimostra come la verità non sia qualcosa di oggettivo, ma che ognuno ha una sua visione della vita e dei fatti, elabora diversamente l'esperienza che vive. Mi accorgo che può sembrare una cosa banale, ma appunto spesso le cose banali sono le più difficili da trattare, perchè le diamo per scontate e le dimentichiamo: Kurosawa ci riesce in modo direi esemplare. e il bambino che viene portato via nel finale, metaforicamente riapre il circolo della vita dopo l'uccisione del samurai, e anche la sua visione del mondo si aggiungerà a innumerevoli altre. Per chi non lo sapesse, questo film è servito da base per il primo film di Bernardo Bertolucci, "la commare secca".
[-]
|
|
[+] lascia un commento a goruz »
[ - ] lascia un commento a goruz »
|
|
d'accordo? |
|
ilaskywalker
|
domenica 13 novembre 2011
|
natura e verità
|
|
|
|
Se il cinema convenzionalmente mostra e dimostra il punto di vista di un autore o una testimonianza oggettiva di fatti, Rashōmon di Akira Kurosawa si pone a metà tra i due intenti, andando anche oltre. Il film parla di "punti di vista" e "relatività", servendosi di un fatto increscioso come filo conduttore (l'uccisione di un samurai e la violenza fatta alla moglie di costui da parte di un brigante).
[+]
Se il cinema convenzionalmente mostra e dimostra il punto di vista di un autore o una testimonianza oggettiva di fatti, Rashōmon di Akira Kurosawa si pone a metà tra i due intenti, andando anche oltre. Il film parla di "punti di vista" e "relatività", servendosi di un fatto increscioso come filo conduttore (l'uccisione di un samurai e la violenza fatta alla moglie di costui da parte di un brigante).
Ambientato nel periodo Heian (X secolo, splendore della corte imperiale, dame e poesie, amore e natura, e la delicatezza dei famosissimi dipinti di corte, statici e tutti simili), fu tratto dall'omonima storia breve scritta da Ryūnosuke Akutagawa nel 1915.
Nella dichiarazione iniziale di intenti (ossia il raccontare la storia), tre personaggi discutono sulla disgrazia umana e sui limiti verso cui il degrado può spingersi. Ad amplificare il senso di sconforto e la pacatezza flemmatica del monaco che prende parola, ci sono la pioggia e l'ambientazione quasi desolata di una delle Porte di Kyoto, la cosiddetta Rashōmon.
Protagonisti sono anche i due sopravvissuti all'episodio ed il morto stesso, che assieme al boscaiolo testimone raccontano la vicenda davanti ad un tribunale, spazio indefinibile con sfondo monocromo bianco. Nel momento di confessione agli interlocutori-giudici, questi ultimi non sono visibili, e se ne deduce un parallelismo giudice = spettatore, anche se i personaggi non guardano direttamente in camera, ma ad essa si rivolgono.
Vari flashback espongono le visioni personali del racconto, ognuna con qualche cambiamento di trama.
Il bandito Tajomaru addossa la colpa alla donna; e così fa il samurai, che però (attraverso i deliri di un'elegante medium sofferente) sostiene di essersi infine suicidato; mentre la donna incolpa entrambi ed il boscaiolo verrà più o meno a sostegno di questa tesi.
Nell'ambito della violenza sessuale e della contaminazione di coppia si è venuto così a formare un triangolo amoroso nel quale una delle tre persone dovrà soccombere. Lo sguardo di sdegno del freddo samurai nei confronti della moglie non viene inquadrato che una sola volta, mentre la macchina da presa insiste sulla reazione che questo provoca sulla donna. Ella, dopo iniziale replica passiva e lamento continuo, si esibirà in un solo di isterica dignità e saggia superiorità nel far notare le mancanze dei due uomini: comodo far gravare su di lei ogni colpa ed avere paura di decidere il passo successivo.
L'elemento principale dell'episodio in sé non è quindi tanto la violenza, od il dolore, o l'impotenza del trovarsi in ostaggio, ma la consapevolezza che per convenzioni sociali ci sarà per forza bisogno di un ulteriore evoluzione in negativo della cosa.
Mentre in principio la storia viene ricostruita per mezzo di indizi e dei simbolici oggetti trovati (cappelli, frecce, un cavallo), la fabula si scioglie solo in apparenza e, superato il dato misterioso, l'insoluto, si sofferma sulla componente umana. La location della foresta, onnipresente, pone l'attenzione sulla dimensione sonora del film fatta quasi esclusivamente di rumori della natura (oltre a musica mystery da trance) e rumori biologici: il pianto della donna ed in particolare il duello finale asmatico ed esasperato. I protagonisti non fanno che ansimare; il bandito preferisce ridacchiare e dare sfogo a smorfie: gli unici rumori possibili per l'uomo sono quelli suoi propri, primordiali.
Lo stesso amplesso-violenza viene mostrato ad intermittenza e trasfigurato nella foresta, che con le sue fronde ed i pieni/vuoti di luce sta a significare sé stessa (e quindi: il male che l'uomo fa e subisce non è attribuibile al degrado umano, ma è propriamente 'naturale') oltre a significare la classica dicotomia luce/buio = bene/male.
"Non hanno detto che bugie tutti quanti" / "E' orribile. Se non potessimo credere a nessuno, che ne sarebbe di noi." / "Non capisco" / "E che vuoi capire. Si puo' forse trovare un perché nelle azioni degli uomini?"
Quando i tre viandanti sotto la porta di Rasho sembrano arrendersi all'incomprensibilità della natura, accusandosi e ponendosi violentemente gli uni contro gli altri, l'ennesimo pianto viene udito: è quello di un neonato, lì abbandonato.
Ultimo tassello dell'intrico di morte è un ritorno alla vita, e apparentemente, alla speranza.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a ilaskywalker »
[ - ] lascia un commento a ilaskywalker »
|
|
d'accordo? |
|
gianleo67
|
sabato 18 agosto 2012
|
le tre verità al tempio di rasho
|
|
|
|
Tre uomini (un monaco,un boscaiolo ed un passante) trovano riparo dalla tempesta presso il Tempio diroccato di Rasho. Qui i primi due narrano al terzo del tragico fatto di sangue che li ha visti testimoni in un processo: lo stupro di una donna e l'assassinio del marito samurai da parte di un famigerato brigante al loro passaggio presso una vicina boscaglia. Le versioni dei fatti narrati sono però incredibilmente discordanti. Struttura allo stesso tempo semplice e complessa, quella che Kurosawa ci presenta in questo apologo sulla cattiveria dell'uomo e sulla fede, instancabile e sorprendente, che egli nutre nelle sue qualità etiche e spirituali. Dall'incipit, intriso di di cupo e disperato pessimismo, tra le mura in rovina del tempi di Rasho, si propagano come cerchi concentrici tra le pozzanghere di un diluvio universale, le verità multiformi di un triste caso di cronaca locale.
[+]
Tre uomini (un monaco,un boscaiolo ed un passante) trovano riparo dalla tempesta presso il Tempio diroccato di Rasho. Qui i primi due narrano al terzo del tragico fatto di sangue che li ha visti testimoni in un processo: lo stupro di una donna e l'assassinio del marito samurai da parte di un famigerato brigante al loro passaggio presso una vicina boscaglia. Le versioni dei fatti narrati sono però incredibilmente discordanti. Struttura allo stesso tempo semplice e complessa, quella che Kurosawa ci presenta in questo apologo sulla cattiveria dell'uomo e sulla fede, instancabile e sorprendente, che egli nutre nelle sue qualità etiche e spirituali. Dall'incipit, intriso di di cupo e disperato pessimismo, tra le mura in rovina del tempi di Rasho, si propagano come cerchi concentrici tra le pozzanghere di un diluvio universale, le verità multiformi di un triste caso di cronaca locale. Le digressioni narrative del fatto di 'onore e sangue', pur nella loro linearità, riescono ad articolare con inusuale rigore estetico, una spiazzante dialettica delle plausibili verità che sono solo apparentemente (se non nella mera dinamica dei fatti narrati) in contraddizione tra loro, ed il cui punto di origine e le cui soluzioni convergono in una tesi morale di sconcertante crudeltà. Qualunque di esse sia la verità infatti, il comportamento di tutti i protagonisti appare sommamente riprovevole e abietto, rispondendo alla crudeltà dell'uomo con una crudeltà ed un abominio ancora maggiori nella strenua e insensata difesa del proprio onore, ferito mortalmente più che dalle altrui azioni (lo stupro, l'omicidio, la brutale violenza) dallo stigma sociale del loro giudizio. Un gioco al massacro insomma in cui escono tutti perdenti, ricompattando i fili della narrazione attorno ad un nucleo centrale di densa efficacia drammaturgica. La tecnica dell'autore raggiunge qui una vetta di raffinata eleganza tanto nella rappresentazione dei tre 'momenti' generali (il tempio battuto dalla pioggia con il lugubre echeggiare delle sue voci disperate; la elegante e spartana stilizzazione della galleria di contraddittorie umanità che si alternano al 'banco dei testimoni'; la tensione dinamica e teatrale che si sviluppa dalle diverse 'mise en scène' del delitto), quanto nella perfezione compositiva delle singole scene o nella abilità di alternare i diversi campi in un gioco plastico in cui, ad esempio, la corsa disperata del testimone oculare viene magistralmente resa dal passaggio da una prospettiva ravvicinata (primo piano e soggettiva) al piano sequenza aereo di ansimante concitazione. Particolarmente suggestiva la scena del rito medianico-esorcistico, durante 'l'audizione' del defunto samurai, da cui emana la potenza evocativa di tradizioni millenarie tra etnologia e spiritismo. Il finale, con il suo mesto ottimismo è rinfrancante e ristoratore come uno squarcio di cielo al placarsi di una furibonda tempesta. Consolatorio.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a gianleo67 »
[ - ] lascia un commento a gianleo67 »
|
|
d'accordo? |
|
luca scial�
|
lunedì 8 luglio 2013
|
i dubbi e i difetti dell'essere umano
|
|
|
|
Kyoto, siamo nell'era dei Samurai, nella fattispecie dello Heain, dove vige una legge violenta fatta di onore da rispettare. Causa forte pioggia tre uomini si ritrovano insieme a ripararsi sotto un vecchio templio malandato. Uno di loro, boscaiolo, racconta agli altri due cosa ha visto: il cadavere di un uomo, ucciso da un brigante a cui aveva anche rapito la moglie. Ma il racconto si fa sempre più incerto, al punto che il ruolo dei tre finisce per confondersi.
Kurosawa ci porta indietro nel tempo, ai tempi dei samurai. Fatti di codici da rispettare; di onore e disonore. Ma più che fornirci una testimonianza dell'epoca il regista giapponese punta sui dubbi esistenziali, i limiti dell'uomo, attraverso un racconto che si svela sempre meno stereotipato e scontato come appare all'inizio.
[+]
Kyoto, siamo nell'era dei Samurai, nella fattispecie dello Heain, dove vige una legge violenta fatta di onore da rispettare. Causa forte pioggia tre uomini si ritrovano insieme a ripararsi sotto un vecchio templio malandato. Uno di loro, boscaiolo, racconta agli altri due cosa ha visto: il cadavere di un uomo, ucciso da un brigante a cui aveva anche rapito la moglie. Ma il racconto si fa sempre più incerto, al punto che il ruolo dei tre finisce per confondersi.
Kurosawa ci porta indietro nel tempo, ai tempi dei samurai. Fatti di codici da rispettare; di onore e disonore. Ma più che fornirci una testimonianza dell'epoca il regista giapponese punta sui dubbi esistenziali, i limiti dell'uomo, attraverso un racconto che si svela sempre meno stereotipato e scontato come appare all'inizio. A tratti il film presenza sequenze troppo lunghe, in pieno stile Kurosawa, ma si riscatta con il messaggio finale che giunge insieme a un bambino innocente.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a luca scial� »
[ - ] lascia un commento a luca scial� »
|
|
d'accordo? |
|
valetag
|
lunedì 17 febbraio 2014
|
rashomon, porta del relativismo
|
|
|
|
Un taglialegna, un passante e un monaco: tre uomini comuni che si ritrovano sotto la porta di Rasho a discutere riguardo la volubilità che caratterizza ogni essere umano.
Sullo sfondo, la pioggia incessante, allegoria del caos creato da un evento increscioso: un samurai ucciso e sua moglie oltraggiata da un brigante.
Scopriamo la storia attraverso dei flashback, ma ogni testimone ci dà una versione dei fatti che discorda da quella degli altri. Da qui parte la riflessione pirandelliana sulle capacità dell’uomo di distinguere la realtà dalla finzione. La verità sta negli occhi di chi guarda: ognuno dà una proprio resoconto, convinto delle proprie menzogne.
[+]
Un taglialegna, un passante e un monaco: tre uomini comuni che si ritrovano sotto la porta di Rasho a discutere riguardo la volubilità che caratterizza ogni essere umano.
Sullo sfondo, la pioggia incessante, allegoria del caos creato da un evento increscioso: un samurai ucciso e sua moglie oltraggiata da un brigante.
Scopriamo la storia attraverso dei flashback, ma ogni testimone ci dà una versione dei fatti che discorda da quella degli altri. Da qui parte la riflessione pirandelliana sulle capacità dell’uomo di distinguere la realtà dalla finzione. La verità sta negli occhi di chi guarda: ognuno dà una proprio resoconto, convinto delle proprie menzogne.
Bugie: non per cattiveria, ma per incapacità di accettare la realtà (siamo disposti ad accettare anche il falso se ci fa comodo. Cit.).
Introdotto quindi anche il concetto di relatività: ognuno percepisce la realtà in maniera diversa.
Importante il lavoro di Akira Kurosawa: con un budget ristrettissimo è riuscito a portare sul grande schermo un’importante concetto filosofico.
Tutto è ridotto all’osso: attori, scenografie e dialoghi; tuttavia, in fondo, non si sente la mancanza di nulla. Semplicità, eleganza e minimalismo sono le parole chiave.
Kurosawa si avvale della natura come unica scenografia per la maggior parte del tempo, sfruttando al meglio il contrasto tra luce ed ombra: bellissime e poetiche le inquadrature del sole che spicca tra gli alberi.
La predilezione per il cinema muto appare in più sequenze, dove la musica ci parla più delle parole e ci accompagna nei movimenti e nei pensieri dei personaggi.
Il brigante parrebbe essere l’antenato di uno dei cattivi psicopatici di oggi: la sua risata folle resta impressa.
Inevitabili, inoltre, i cenni alla seconda guerra mondiale.
Alla conclusione, ancora non abbiamo un’idea chiara di quello che è realmente accaduto, perché perfino il taglialegna, che ha assistito a tutta la scena, ci nasconde qualcosa (l’occasione fa l’uomo ladro).
Tuttavia, preso atto del fatto che non c’è una sola verità, e che ogni versione, in fondo, è verità per chi la racconta, e che quindi nelle menzogne non c’è cattiveria, il sole può tornare a splendere, e noi possiamo riacquistare fiducia negli uomini e nelle vita (il samurai muore – viene trovato il neonato).
Film consigliatissimo.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a valetag »
[ - ] lascia un commento a valetag »
|
|
d'accordo? |
|
|