I figli della violenza

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Un film di Luis Buñuel. Con Miguel Inclan, Estela Inda, Alfonso Mejia, Roberto Cobo, Alma Delia Fuentes Titolo originale Los olvidados. Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 88 min. - Messico 1950. - Cineteca di Bologna MYMONETRO I figli della violenza * * * 1/2 - valutazione media: 3,56 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

eroi senza scampo Valutazione 4 stelle su cinque

di carloalberto


Feedback: 51029 | altri commenti e recensioni di carloalberto
mercoledì 30 settembre 2020

Questo film è stato definito da alcuni comunista da altri borghese e a prima vista potrebbe sembrare una via di mezzo, animato da uno spirito socialista di riforma della società, con l’auspicio declamato dalla voce narrante, Nando Gazzolo, se non della eliminazione, della riduzione, almeno, della povertà, che genera emarginazione e delinquenza e la diffusione di una sana cultura del lavoro, dello studio e dell’impegno civile, foss’anche incarnato da un riformatorio, pur senza senza grate e cancelli. Ma il sogno o meglio l’incubo del piccolo scugnizzo messicano ci trasporta in una dimensione onirica, sollecitando l’inconscio ad elaborare una figura materna, trasfigurata in un essere angelico, come desiderabile e mai avuta, che quasi si muove volando nella piccola stanza dove dorme tutta la famiglia, così come l’asina che sveglia la ragazzina toccando col muso la finestra, perché accorra a salvare il suo giovane amico, crea, anche se soltanto per alcuni fotogrammi, un’atmosfera di fiaba, che stride con la cruda realtà della miseria sovraccarica di disperazione e di odio che governa quell’accrocco di baracche in mezzo al nulla. Nessuno si salva e nessuno può essere salvato, sia che intraprenda il mestiere dell’onesto manovale o che si abbandoni al vagabondaggio da piccolo criminale, il destino è segnato per tutti e la breve epopea di vite troncate sul nascere, degli eroi straccioni di una tragedia, che nell’incipit del film si annuncia con premonizione vaticinante, globale, non sarà nobilitata, bensì maledetta da un Omero dissonante e caricaturale, cantore mendicante stonato, cieco come la sorte che distribuisce castighi, come quello bastonate. Sulla scia di Bunuel, Pasolini e Caligari, in tempi diversi, in epoche lontane, descriveranno la stessa cosa con la stessa amara consapevolezza dell’ineluttabilità della morte violenta, riservata a chi tenta un’impossibile evasione dal carcere, che altri e prima che quanto rappresentato cadesse sotto lo sguardo del poeta catturato in celluloide in un neorealismo sognante zavattiniano, hanno edificato per gli uomini senza speranza coi mattoni dell’ingiustizia e della violenza.

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