Totò le Mokò

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Musicista al verde diventa un capobanda! Valutazione 4 stelle su cinque

di GreatSteven


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lunedì 30 ottobre 2017

TOTò LE MOKò (IT, 1949) diretto da CARLO LUDOVICO BRAGAGLIA. Interpretato da TOTò, GIANNA MARIA CANALE, CARLA CALò, FRANCA MARZI, LUIGI PAVESE, MARIO CASTELLANI, CARLO NINCHI

Alla morte di Pepè le Mokò ad Algeri, temutissimo capobanda creduto morto in un lago di sangue, la sua cricca rimane senza guida e necessita urgentemente di un nuovo capo. Fra i parenti di Pepè, i suoi uomini e la sua donna scoprono che c’è un certo Antonio Lumaconi (Le Mokò, infatti, altro non è che la storpiatura francese di Lumaconi), detto Totò, povero musicista squattrinato con ambizioni di direttore d’orchestra, al quale spediscono una lettera e lui, da Napoli, sua città natale, raggiunge Algeri pieno zeppo d’entusiasmo, convinto di fare il direttore di una banda di suonatori. E invece, la sera stessa del suo arrivo nella casbah africana, Totò scopre di non aver a che fare con un’orchestra che suoni violini o tromboni, ma con una gang di criminali. Scoperto che non si tratta di un capobanda, gli uomini della combriccola inizialmente deridono lo sfortunato musicista che sogna ad occhi aperti, ma è la donna di Pepè a rivelargli il segreto del suo compagno, quello che lo rendeva imprendibile alla polizia, ovvero un filtro che si sparge nei capelli e che rende imbattibili anche solo con uno starnuto. Ben presto, sorprendendo perfino sé stesso, Totò diventa a tutti gli effetti il degno successore di Pepè, tanto che le forze dell’ordine pongono sulla sua testa una taglia di un milione di franchi, superiore a quella affibbiata a Pepè stesso. In seguito Totò posa gli occhi su una dama dell’aristocrazia francese, di cui si innamora (con enorme disappunto della compagna prima di Pepè e ora sua, che ne è pazzamente innamorata perché convinta che nelle sue vene scorra lo stesso sangue caldo e passionale del fratello), ma lei vuole essere contraccambiata solo dopo aver assistito ad un duello fra il suo spasimante e un suo nemico, coltello contro coltello, dal momento che la donna non è abituata a lasciarsi conquistare senza che una coppia di pretendenti si batta per lei. Ma all’improvviso accade ciò che nessuno s’attendeva: Pepè, che tutti hanno ritenuto defunto e sepolto, ricompare con la sua consueta voglia di menare violenza con la sua infallibile sciabola. Totò è già pronto per inscenare un finto duello con un uomo che chiede ad uno dei suoi tirapiedi d’individuare, ma sarà proprio contro Pepè – famoso fra l’altro per aver assassinato tutti i suoi congiunti, escluso il partenopeo Antonio, ancora rimasto in vita – che Totò dovrà misurarsi, combattendo contro di lui sia fisicamente sia contro la rabbia del parente per il fatto di avergli ignobilmente usurpato il posto. Totò, uomo di buon cuore ma molto meno sprovveduto di quel che sembra, riesce a sgominare l’intera e nuova banda di Pepè entrando in un negozio di fuochi artificiali e stendendo tutti i suoi avversari scagliando contro di essi una raffica di proiettili e pallottole. Tutti i giornali europei palano della sua eroica impresa, e Totò, rientrato finalmente a Napoli grazie alla promessa fatta alla madamigella francese che possiede un panfilo che sta per salpare alla volta del capoluogo campano, diventa maestro d’orchestra e corona il suo sogno artistico. Una fra le prove migliori del Principe della risata. Una commedia che si permette di ridicolizzare il mondo della criminalità organizzata senza scivolare nei manicheismi o nelle forzature, bensì mettendo in azione un cast di personaggi uno più riuscito dell’altro che si affiancano al 51enne signor De Curtis per fargli a turno da spalla e consentendogli di tirare fuori il meglio del suo vastissimo ed esilarante repertorio, ovviamente con una predilezione speciale per le battute, i giochi di parole e gli strafalcioni grammaticali. Nei titoli di testa, per un errore di battitura, Mario Castellani è diventato Renato Castellani, ma è Mario che recita effettivamente recita in questo film, non Renato. Una commedia semplice ed essenziale, del tutto priva di fronzoli e ammiccamenti inutili, malgrado una scenografia sgargiante ed elegante ma mai pacchiana, girata in un eccellente bianco e nero e diretta da un Bragaglia (1894-1998) in formissima che si prende la debita libertà di lasciare il suo protagonista a briglia sciolta, offrendogli come sempre l’abitudine di recitare a braccio, badando poco al copione e improvvisando laddove il suo talento naturale emerge con maggiore energia e implacabilità. Il primo quarto d’ora, soprattutto per merito dei voluti equivoci e dei doppi sensi che denotano una sceneggiatura che viaggia a vele spiegate senza perdere un colpo, è divertentissimo, ma il finale non è da meno, col duello sciabola contro sciabola fra Totò e Pepè Le Mokò, e riesce anch’esso ad emozionare e strappare l’applauso per un clima festoso e spassoso che ha solo rarissime cadute di tono e abbina i contributi artistici a quelli tecnici in un andirivieni di colpi di scena che capitano sempre al momento propizio e picchi di tensione che si sciolgono con conveniente puntualità infatuando il pubblico con storie d’amore solo sfiorate, mascalzoni armati che cercano di riacquistare visibilità e non finire in galera e un personaggio principale dapprima confuso e spaesato, ma poi perfettamente inserito nel globo spietato e senza scrupoli della casbah algerina. Una metamorfosi da musicista vagabondo per le piazze partenopee di periferia a capobanda insospettabile e carismatico che si conclude poi con un terzo gradino, la trasformazione in direttore della banda che aveva sempre popolato le sue ardite aspirazioni oniriche. Da gustare almeno un paio di volte, anche per via di altri due innegabili meriti: la non giustificazione del mondo delinquenziale (cosa che lo avrebbe fatto precipitare nel buonismo o, peggio ancora, nel perbenismo), ma il fatto di affrontarlo a muso duro costruendovi sopra un’impalcatura di spassosità e ironia e, secondo elemento dei due sopracitati, l’amore sottile ma evidente per il gusto di praticare l’arte fine a sé stesso, per il piacere di dare sfogo e sfoggio ad un talento, naturale od acquisito che sia, il che permette anche di ridicolizzare il pianeta gangsteristico, denudandolo della sua spocchia e ponendo in primo piano l’altissimo livello recitativo dei suoi interpreti, abbinato ad un copione (scritto da Vittorio Metz, Furio Scarpelli e Sandro Continenza) la cui composizione non lascia dubbi sulla forma smagliante e strabiliante degli sceneggiatori.

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