Mario Gromo
La Stampa
Il film, a priori, ha un suo particolare interesse perché è il primo che ci giunga dalla Germania del dopoguerra. Prodotto con scarsi mezzi, tra fondali di macerie e di rovine, con attori sconosciuti; dovuto a un soggettista-sceneggiatore-regista, Walter Staudte, pure sconosciuto: si presenta torvo e dimesso, con lo sguardo del povero, e del vinto non domo. C'è del beninteso orgoglio, in questo ricominciare, in questo far riudire la propria voce; ma c'è anche, evidente, il timore che quella voce possa comunque apparire stonata, nell'alterno coro che dopo la guerra s'è levato dal mondo intero. [...]
di Mario Gromo, articolo completo (2263 caratteri spazi inclusi) su La Stampa 1957