Un chien andalou

Un film di Luis Buñuel. Con Simone Mareuil, Pierre Batcheff, Luis Buñuel, Salvador Dalí, Robert Hommet.
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Cortometraggio, Ratings: Kids+16, b/n durata 16 min. - Francia 1929. MYMONETRO Un chien andalou * * * - - valutazione media: 3,40 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un primo assaggio di surrealismo in movimento. Valutazione 3 stelle su cinque

di Great Steven


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domenica 25 gennaio 2015

UN CHIEN ANDALOU (SP, 1929) diretto da LUIS BUñUEL. Interpretato da PIERRE BATCHEFF, SIMONE MAREUIL, JAIME MIRATVILLES, SALVADOR DALì, LUIS BUñUEL, MARVAL, FANO MESSAN, ROBERT HOMMET
Esordio nel cinema di L. Buñuel, da lui prodotto con il denaro della madre, sceneggiato in collaborazione con Dalì e diretto. Vi appare nel primo piano-sequenza come l’uomo che affila il rasoio con cui recide trasversalmente l’occhio sinistro di una donna, una delle più famose immagini-choc del cinema, collegata con quella del plenilunio avvolto dalla foschia notturna. Questo agghiacciante cortometraggio non prevede una trama, ma soltanto insinuazioni, associazioni mentali, allusioni (da notare, a tal proposito, le didascalie che dividono una scena dall’altra, ispirate a progressioni temporali insensate e scollegate fra loro); non c’è una logica, tranne quella dell’incubo; non c’è una realtà, eccetto quella dell’inconscio, del sogno e del desiderio. Un qualche aggancio razionale con l’anticlericalismo e la critica alla società borghese lo si può riscontrare nella sequenza in cui gli uomini si trascinano dietro i due pianoforti con sopra altrettanti asini morti e un paio di preti ortodossi che s’aggrappano a una corda: questa trovata si può interpretare come la fatica che una società, ormai proiettata verso il moderno, effettua per sbarazzarsi di antiche convenzioni sociali e di vetusti dogmi religiosi. È possibile individuare perfino un tema centrale e conduttore: un uomo e una donna reciprocamente attratti da una pulsione erotica violenta e intensa, che devono lottare contro una serie di condizioni e figure che si frappongono tra loro. Le visioni sembrano scaturire dalla mente dell’uomo, oppressa da un subconscio denso di rimembranze e memorie antiche, ma è sempre la donna che, al momento di entrare in contatto col partner, lo respinge con orrore e disgusto. Anche gli animali giocano un ruolo decisivo nell’obiettivo fondamentale del film, ossia quello di impressionare (non per forza positivamente) lo spettatore con una caterva di immagini aggressive e di certezze smontate e poi non rielaborate: basti citare le formiche che escono dalla mano dell’uomo e la raffigurazione della sfinge-testa-di-morto come simbolo sul muro della casa, oltre ai già summenzionati cadaveri di asini. In definitiva, questa pellicola è una temperie di assurdità, oniricità, bizzarria e creatività che i suoi due autori surrealisti adoperano per contemplare l’inafferrabilità della vita e quindi la sua intrinseca meraviglia. L’impatto morale sul pubblico è garantito anche dai reconditi, ma intuibili, moniti contro la chiesa e la borghesia rampante che si mimetizzano con camaleontica abilità fra questi movimenti concitati che sembrano non cercare una cognizione per un auto-ordinamento. Nato nell’ambiente parigino del surrealismo, è con ogni probabilità il più celebre film d’avanguardia del mondo, anche se non il più significativo e importante. Una larga parte di critici e spettatori gli preferiscono il successivo L’ȃge d’or (1930). È il corrispettivo cinematografico del Primo Manifesto del Surrealismo (1924, ristampato da André Breton nel 1929), del quale condivide l’estetica di Lautréamont, l’influsso di Freud, la volontà rivoluzionaria di ispirazione marxiana con spunti presi da Buster Keaton e René Magritte. Il titolo incongruo deriva da Un perro andaluz, raccolta di poesie e testi in prosa di Buñuel, pubblicata nel 1927 sulla Gaceta Literaria di Madrid. Non è da escludere che abbia una connotazione polemica contro Federico Garcìa Lorca, che nel 1928 aveva pubblicato Primero romancero gitano, accolto da molti con entusiastici elogi, ma non dall’amico Buñuel che gli rimarcò il “terribile estetismo”. Proiettato dal giugno 1929 allo Studio des Ursulines di Parigi, tenne il cartellone per numerose settimane. Nel 1960 il regista-produttore ne cedette i diritti e fu sonorizzato con musiche (Morte di Isotta di Wagner, tanghi argentini) scelte da Buñuel. L’attore protagonista, P. Batcheff, si suicidò pochi mesi dopo il termine delle riprese.  

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