Il circo

Un film di Charles Chaplin. Con Charles Chaplin, Al Ernest Garcia, Merna Kennedy, B. Morissey.
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Titolo originale The Circus. Drammatico, b/n durata 76 min. - USA 1928. MYMONETRO Il circo * * * 1/2 - valutazione media: 3,94 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Ritenuto per sbaglio un film minore: emozionante! Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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sabato 2 maggio 2015

IL CIRCO (USA, 1928) diretto da CHARLIE CHAPLIN. Interpretato da CHARLIE CHAPLIN, MERNA KENNEDY, ALLAN GARCIA, HARRY CROCKER, HENRY BERGMAN, JOHN RAND, ARMAND TRILLER, STANLEY SANDFORD, GEORGE DAVIS, BETTY MORRISEEY, JACK P. PIERCE
Perseguitato da un piedipiatti e alla ricerca di un impiego, il disoccupato Charlot trova rifugio e lavoro in un circo, nel quale arriva a rivestire il ruolo di clown involontario. Conosce i membri della troupe e socializza in particolar modo con la cavallerizza, della quale si innamora. Ma è al contempo osteggiato dal padre di lei, che è anche direttore del circo. Dopo aver riscosso pieno successo durante un’improvvisata esibizione, al vagabondo viene imposto di continuare la tournée col gruppo spostandosi però in un altro luogo oppure di abbandonare la professione e tornare sui suoi passi. A malincuore, Charlot opta per la seconda ipotesi e, armato semplicemente del suo bastone e della sua bombetta, saluta gli spettatori andandosene definitivamente. Questo è considerato a torto un film minore dell’inimitabile maestro del cinema muto, e la suddetta denominazione è forse anche incentivata dal fatto che lo stesso Chaplin non ne fa menzione nella sua autobiografia uscita nel 1964, per dimenticare le tristi circostanze nelle quali fu girato (un incendio che bruciò il set, le lamentele della seconda moglie Lita Grace che ostacolò non poco le riprese, e altre cause spiacevoli). Eppure presenta una ricchezza inventiva e una creatività debordante che lo rendono appetibile ad un pubblico numeroso e possibilmente eterogeneo. Abbondano infatti le sequenze che si distinguono per come sono state ben girate e pensate per sfruttare l’effetto sorpresa di fronte a un dispiegamento di mezzi non sempre completo: la baracca degli specchi al cui esterno Charlot finge di essere un pupazzo meccanico; il leone dentro la gabbia al quale il vagabondo deve dar da mangiare; Charlot sulla corda aggredito dal repentino arrivo delle scimmie. Il sonoro esisteva già da circa un anno, ma l’asso britannico della pantomima preferì insistere sul silenzio dei suoi personaggi ricorrendo, in questo specifico caso, a una truppa di attori tutti molto affiatati, a una sceneggiatura sobria ma efficace per la sua semplicità non contraddittoria e a contributi tecnici (montaggio e fotografia in particolare) che valorizzassero l’azione genuina e la temporalità comica più difficile da riprendere. C’è anche un approfondimento notevole sulla dimensione del personaggio di reietto che l’attore-regista londinese seppe trasformare in un motivo ricorrente sul grande schermo arricchendo questo carattere (ben lungi dal risultare un’elementare macchietta) di proprietà inedite film dopo film, senza mai scadere nella banalità ed evitando provvidenzialmente la trappola della ripetitività. Tutt’altro che stucchevole e sdolcinato il suo amore per la donna che esegue il numero col cavallo: una love story (come si dice oggidì) che privilegia i tratti più agrodolci dei sentimenti umani e pone in primo piano l’importanza delle sensazioni visive che vengono costantemente integrate con la veridicità dei moti dell’anima. Il poeta sovietico Majakovskij ebbe a commentare, riguardo a questa pellicola che suscitò un suo vivo interesse: «Un debole omino calpestato da Los Angeles a qui recita attraverso gli oceani». Negli anni 1960 il film tornò in circolazione, e non solo: grazie ad una nuova partitura musicale composta dall’autore medesimo e applicata nell’introduzione e nelle scene principali, esso riuscì ad ammaliare una nuova generazione di spettatori, fra i quali figurava addirittura il regista riminese Federico Fellini, che si proclamò come deciso adoratore di questo piccolo, grande capolavoro che purtroppo è stato troppo spesso relegato nei bassifondi della filmografia chapliniana e quasi mai valutato per la sua effettiva rilevanza. La quale affonda la propria ragion d’esistere in una magia aggraziata ed elegante e in una verosimiglianza che scava nel pensiero umano e centra il bersaglio parlando con eloquenza della solitudine, dell’emarginazione e del desiderio insopprimibile di un riscatto.

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