Anno | 2019 |
Genere | Drammatico |
Produzione | USA |
Regia di | Joe Talbot |
Attori | Jimmie Fails, Jonathan Majors, Danny Glover, Tichina Arnold, Rob Morgan Mike Epps, Finn Wittrock, Thora Birch, Willie Hen, Jamal Trulove, Antoine Redus, Isiain Lalime, Jordan Gomes, Maximilienne Ewalt, Michael O'Brien (VI), Daewon Song, Mari Kearney, Dennis Chavez, Dakecia Chappell, San Quinn, Jello Biafra, LaShay Starks, Warren Keith, David Usner, James Dowling, Sergio Gonzalez (II), Andy Roy, Tonya Glanz, Timothy Robert Blevins, Michael Marshall (II), The Dog Musik. |
Tag | Da vedere 2019 |
MYmonetro | 3,52 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 16 agosto 2019
Un ragazzo arriva a San Francisco e prova a integrarsi nella città del cambiamento. Il film ha ottenuto 3 candidature a Spirit Awards, 1 candidatura a Directors Guild, Al Box Office Usa The Last Black Man in San Francisco ha incassato nelle prime 10 settimane di programmazione 4,5 milioni di dollari e 231 mila dollari nel primo weekend.
CONSIGLIATO SÌ
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Jimmie e Mont sono due amici veri, uniti nel loro essere eccentrici rispetto agli altri afroamericani dello stesso quartiere di San Francisco. Mont ha un talento per la scrittura ma qualche difficoltà a interagire con il mondo, Jimmie invece, rimasto senza un tetto, è ossessionato da quella che fu la sua casa di famiglia: una costruzione vittoriana che apparteneva a suo nonno, "il primo nero di San Francisco", e che suo padre ha dovuto vendere per i troppi debiti contratti. Benché sia abitata da una coppia di bianchi, Jimmie si offre volontariamente e unilateralmente di ridipingere le finestre o pulire il giardino della casa.
"Non puoi odiarla se non la ami". In una sola frase è sintetizzata tutta la schizofrenia di Jimmie Fails e del suo rapporto con San Francisco.
Jimmie è il protagonista e l'autore di una storia dai forti tratti autobiografici. È lui il ragazzo che nella realtà ha "perso" la casa di famiglia e che ha dovuto vivere come un senzatetto, e The Last Black Man in San Francisco è la versione, in parte romanzata, di quanto accaduto. Ma il film che l'amico di Jimmie, Joe Talbot, ha portato a termine racconta molto di più di questa storia, punto di partenza per affrontare una piaga che riguarda l'America tutta, e non solo lei.
Si parla del "primo nero di San Francisco", il nonno di Jimmie, su cui verità e leggenda si confondono sempre più; ma si parla soprattutto di quello che un giorno sarà l'ultimo, dopo che un'implacabile gentrification avrà impedito ai ceti meno abbienti di rimanere in città. Fillmore era la Harlem dell'Ovest, oggi è un quartiere borghese, in cui comprare una casa vuol dire spendere milione di dollari.
Temi già sfiorati o affrontati di recente da altri film, quali Medicine for Melancholy di Barry Jenkins (Moonlight) del 2008 oppure Blindspotting del 2018, ma che The Last Black Man in San Francisco declina in una forma elegiaca, sospinto dalla colonna sonora di Emile Mosseri e dalla fotografia autunnale di Adam Newport-Berra.
Della San Francisco del passato resta pochissimo, solo polvere di stelle, residuo di quando si sperava in un mondo migliore. Negli spiragli di una storia orgogliosamente black, infatti, fa capolino qualche stralcio di quella gloria antica, della "Summer of Love" 1967: "Somebody to Love" dei Jefferson Airplane - riproposta sotto forma di triviale remix techno - John Phillips oppure Janis Joplin, citata nel chiacchiericcio di due ragazze snob e strafottenti, per cui in fondo Frisco non è quel granché.
Restano solo le macerie di un sogno su cui manca la forza di ricostruire. Mentre i palazzinari si arricchiscono, i disoccupati crescono e uomini coperti da tute anti-contaminazione agiscono sulla riva di un oceano da tempo contaminato dalle radiazioni. Il senso di appartenenza diviene così il frutto di una illusione autoindotta, in cui cullarsi per dimenticare il fatto che San Francisco, come l'America tutta, non è stata costruita "da", ma soprattutto non è stata costruita "per", gli afroamericani. Prima schiavi e poi ospiti indesiderati, senza patria né passato se non quelli costruiti da altri, e infine vittime dello sfratto della gentrification: cosa resta a cui aggrapparsi per i neri della periferia, a parte una pistola per primeggiare in un impero di rifiuti, in cui la vita umana vale meno di una griglia dentale d'oro? Mont prova a gridarlo con tutto il fiato che ha in gola: "Non sei la tua casa, sei te stesso e vali molto di più. Rompi la scatola in cui ti hanno chiuso". Ma la verità non è semplice da accettare, senza conseguenze.