Anno | 2018 |
Genere | Drammatico |
Produzione | USA |
Regia di | Jeffrey Reiner |
Attori | Connie Britton, Eric Bana, Juno Temple, Julia Garner, Jean Smart, Keiko Agena Jeff Perry, Kevin Zegers, Jake Abel, Judy Reyes. |
MYmonetro | 2,85 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 25 febbraio 2019
Una storia d'amore si trasforma in un complicato e sinistro incubo. La serie ha ottenuto 2 candidature a Critics Choice Award, 1 candidatura a Writers Guild Awards,
CONSIGLIATO SÌ
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La storia di come John Meehan abbia fatto il suo ingresso, una sera, nell'attico da sogno di Debra Newell e rivoluzionato completamente l'esistenza della donna e della sua famiglia, di come in meno di due mesi sia diventato suo marito, di quanto non convincesse le figlie di lei, preparasse sospetti frullati extrasize ogni mattina e mentisse su tutto quello che diceva di fare e di essere, è quasi tutta nel pilota.
Si potrebbe pensare allora che non si tratti del migliore dei pilota possibili, perché va bene presentare il tono, il problema, i personaggi, ma esaurire gli argomenti non va bene per niente.
Eppure in quel primo episodio che in cinquanta minuti sbriga tutto il lavoro preliminare, mette in scena quello che si poteva immaginare, l'ovvio, il classico, liberando la strada, c'è una delle trovate più argute della serie, la quale comincia così dalla seconda puntata, libera della sua maggior zavorra.
Se c'era infatti un rischio a cui andava incontro sulla carta Dirty John, la serie true crime che Alexandra Cunningham ha tratto dal podcast omonimo di Christopher Goffard, era quello di essere guidata dalla sua tesi e dunque, in termini di azione, dall'intelligenza deviata di John il manipolatore e dal crescente senso di impotenza della sua vittima sacrificale. Ma non è così, o almeno non solo, perché John Meehan non è il protagonista della serie televisiva a lui intitolata, o almeno non il solo: è il personaggio di Debra a reggere sulle spalle le otto puntate, rivelando di possedere di volta in volta nuove risorse psicologiche, una buona dose di intelligenza strategica e quella capacità di scegliere che lui non ha, pietrificato com'è dentro il mostro lo abita.
L'estetica patinata, tutta yacht, Maserati, uffici ipermoderni, banche di lusso e borsette in cassaforte non aiuta la componente visiva, non porta con sé fascino né mistero né un'aura cinematografica, però, nel suo dorato squallore, è vera e credibile tanto quanto il camper da spiantato di Dirty John o gli interni della sua casa da ragazzino, all'epoca in cui il padre gli insegnava le tecniche mafiose e lo sacrificava per guadagnare i soldi dell'assicurazione.
Eric Bana e Connie Britton offrono due prove di uguale e diverso spessore, il primo per il coraggio di aderire ad un personaggio tanto nero, senza fondo, e la seconda per una performance tutta in sottrazione ma piena di sfumature.
Dopo averlo ingannato col più noioso e scontato degli episodi pilota, Dirty John si fa quindi strada rapidamente nella curiosità dello spettatore, nutrendola con elementi sempre nuovi, che attingono dal passato dei diversi personaggi in maniera narrativamente fluida e non schematizzata. Rimane, alla fine della stagione, un margine di riflessione ancora possibile, un senso di inesauribilità della vicenda, che è forse quel briciolo di umanità che il personaggio non sapeva di avere e che nessuno, nemmeno i suoi sceneggiatori, gli avrebbe mai attribuito.