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Ultimo aggiornamento giovedì 24 ottobre 2019
In una notte tempestosa, nell'ospedale di un piccolo paese viene alla luce un bambino, dotato di un inconcepibile potere: il piccolo resiste alla forza di gravità.
CONSIGLIATO SÌ
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Da qualche parte nella provincia italiana nasce Oscar, un bambino senza gravità che galleggia sopra la nebbia e l'insostenibile pesantezza dell'essere. Nato fuori tempo massimo da una madre matura e single, Oscar cresce sotto l'ala protettiva di nonna Alina che lo costringe in casa, lontano dallo sguardo indiscreto e curioso delle comari di paese. Ma Oscar vuole conoscere il mondo e magari salvarlo come Batman, il suo supereroe preferito. Al suo fianco 'combatte' Agata, la prima amica (e il primo amore) a conoscere il suo segreto. Un segreto difficile da mantenere in un paese piccolo che comincia a interrogarsi su Oscar. Costretto a trovare in montagna rifugio dal mondo, Oscar cresce e con lui il desiderio di volare via, di essere finalmente se stesso.
È un film audace L'uomo senza gravità, favola moderna che affonda le radici nella trilogia araldica calviniana e pesca con mani e cuore nel suo "Barone rampante".
Audace perché il postulato di partenza non si preoccupa della verosimiglianza, è una sorta di gioco infantile a cui ci invita l'autore: una donna ordinaria concepisce un bambino straordinario, "affetto da leggerezza". Un gioco al quale lo spettatore deve aderire se non vuole perdere l'essenza del film. Come il racconto filosofico di Calvino, Marco Bonfanti fa appello all'arte di elevarsi, letteralmente e figurativamente, per sottrarsi dal mondo e guardarlo meglio.
Audace ancora perché l'irruzione di un elemento incongruo indaga la mutazione di un corpo e lo fa evolvere da un universo grigio a un mondo a colori, a misura dell'adeguamento del protagonista alla sua identità sovrannaturale. Perché Oscar non è un bambino come gli altri ma è figlio di una madre come le altre, che lo ama di un amore cieco, che vorrebbe soltanto proteggerlo ma finisce per tarpargli le ali e la naturale vocazione al volo. A immagine del Ricky alato di François Ozon, Oscar è un bambino come tanti e un bambino singolare, come ogni altro bambino agli occhi dei suoi genitori.
Sceneggiato a quattro mani con Giulio Carrieri, il film poetizza il cordone ombelicale, concepisce un bambino magico e oppone all'amore materno il voyeurismo della gente e dei media, sottolineando il ruolo di Oscar come centro di gravità dopo essere stato motivo di squilibrio e di turbamento. Racconto tutto in ellissi, L'uomo senza gravità debutta in una provincia mesta e scivola nel fantastico ancorato al realismo del quotidiano con effetti speciali centrati sul corpo del protagonista e sulle rotture di tono (dal comico al tragico, dove il primo corregge sovente il secondo).
Dopo due documentari che indagavano il miracolo della resilienza (L'ultimo pastore) e della creazione (Bozzetto non troppo), l'autore debutta nella fiction, già sperimentata in corto (9x10 Novanta) con candore e ingenuità. Dei lavori precedenti, Bonfanti conserva lo splendido amore per il mondo lieve della favola e lo stupore dei suoi eroi per cui inventa questa volta il prodigio dentro l'ultra reale.
Diversamente da Calvino, orizzonte dichiarato di riferimento, il risultato non produce però scintille. La vagheggiata levità calviniana non tarda a rivelare nel film il proprio peso insostenibile, esplodendo mortaretti ed esplorando il fantastico come una piroetta rivelatrice di nulla. Il suggestivo soggetto di partenza non apre le porte a una riflessione filosofica all'altezza della premessa. I dialoghi convenzionali, l'interpretazione artificiosa degli attori, gli improbabili (e bruschi) scarti narrativi, l'ellissi temporale impiegata come mera tecnica di raccordo e mai come figura di sentimento, svuotano la storia di ogni sostanza. Convertono il volo di Oscar in quello imprudente di Icaro.
E imprudente è pure il film, il cui bagaglio letterario e filosofico non è sufficiente a fornirgli una vocazione. La brillante meccanica intellettuale di Calvino non serve a Bonfanti la chiave d'uscita. "Scrivete con precisione e con leggerezza", esortava Calvino nelle sue "Lezioni americane", fornendo indicazioni sul peso e il significato delle parole. A mancare in un film che si dà come assioma la leggerezza è proprio quel valore cardine che rima sempre con complessità. Al cinema come in letteratura, è necessario che il linguaggio sia all'altezza di quello che è raccontato.
“L’uomo senza gravità” è un film leggero senza però essere scontato o banale. C'è la famiglia, c'è l'amore, e ci sono soprattutto i labirinti di un mondo violento, ma che nasconde questa sua violenza nei piccoli gesti quotidiani. Non ci sono supereroi, perché il mondo non ne ha bisogno.
Ho visto il film in anteprima al Festival di Roma. Ero rimasta stregata dal film precedente del regista, "L'Ultimo Pastre", e devo dire che questo è persino meglio. Ambizioso, divertente, commovente, poetico, spiazzante, mai visto prima per struttura narrativa e fantasia delle immagini in Italia. E' un progetto audace, diverso, originale, con una sceneggiatura potente [...] Vai alla recensione »
Nel vedere questo film mi è tornata alla mente una frase bellissima di uno dei più grandi registi di tutti i tempi, Tarkovskj: "La debolezza è potenza, la forza è niente. Rigidità e forza sono compagne della morte, debolezza e flessibilità esprimono la freschezza della vita". Credo calzi a pennello per "L'Uomo senza Gravità". Vai alla recensione »
Un film che fa del suo essere ricercatamente naif una forza invece che una debolezza. L'Uomo senza Gravità è una fiaba originale, da realismo magico, piena di messaggi a più livelli: la libertà di essere se stessi, la difficoltà di essere sempre positivi, l'impossibilità di essere ascoltati, le apparenze come virtù in questa società.
Una fiaba moderna di puro relismo magico (che si rifà in grande parte alla corrente letteraria latinoamericana). Molto originale e poetico. Per gente sensibile. Diverso da quello che si vede di solito. A me è piaciuto moltissimo...
Secondo me è un film molto politico, al giorno d'oggi. Un film contro l'orrore e la violenza degli esseri umani contemporanei, incapaci di delicatezza, tenerezza, grazia e sensibilità. Un invito a vivere con più umanità, con più sentimento (non a caso, come un cortocircuito, chi ne parla male è proprio quella persona contro cui il film fatalmente si [...] Vai alla recensione »
Siccome c'è sempre meno preparazione cinematografica, soprattutto da un punto di vista storico, volevo solo scrivere che mi pare evidente il film sia un bell'omaggio al Neoralismo italiano (soprattutto di matrice zavattiniana), modernizzato, e con aggiunta di effetti speciali, ma con gli stessi toni poetici e magici di quel cinema. E' comunque sia un film molto coraggioso e, volendo, [...] Vai alla recensione »
Tra le altre cose, mi è piaciuta molto la citazione a "Cecità" di Saramago: in un mondo di ciechi, solo una persona sa vedere. Quella persona è ovviamente il protagonista. Film bello e originale.
Un film solo in apparenza leggero, ma in realtà molto denso e profondo. Bonfanti ci invita a scavare dietro la superficie apparentemente naif e ingenua (da fiaba) che ha creato e cercare nelle piccole cose, nei piccoli gesti, nei simboli e nelle metafore di cui è disseminato tutto il film (credetemi, io ne ho contate parecchie) i suoi significati profondi.
Un apporccio al cinema poco italiano, più nella scia di "Amelie", più francese, benché l'ambientazione sia molto italiana. Ha il suo fascino.
Film discreto . L' altra faccia della medaglia di lo chef amavano Jeeg robot. Ogni 10 anni Germano riesce a fare un film all' altezza tra un film mediocre ed un altro,suo malgrado probabilmente.
eh, sì: da un soggetto meraviglioso, sono riusciti a fare un film sufficiente. La situazione, totalmente anomala, surreale, ma anche metaforica di mille condizioni reali del mondo (come il trattamento destinato ai portatori di handicap), si prestava a una miriade di gag, risvolti, equivoci, potenzialmente esilaranti e drammatici a un tempo. E invece, il nulla.
Non grido al miracolo come stanno facendo tanti...è un bel film, ma il secondo atto è noiosetto.
È un uomo volante. Nato senza obbedire alla legge della gravità durante una notte tempestosa nell'ospedale di un piccolo paese. Si chiama Oscar (Pietro Pescara, poi da adulto Elio Germano) e fluttua nell'aria, si libra nella stanza più leggero di un palloncino, di fronte allo sguardo incredulo della madre (Michela Cescon) e della nonna (Elena Cotta).
Da L'ultimo pastore a L'uomo senza gravità ne ha fatta di strada il non ancora quarantenne Marco Bonfanti. Da un piccolo documentario su un sopravvissuto nella modernità a un film che è un tripudio di effetti digitali, in cui entrano in gioco anche Netflix e Fandango, con una produzione abilissima a intercettare fondi dal Belgio alla Lombardia, dal Lazio (MiBAC compreso) al Sud Tirolo.