Titolo originale | Koly padayut dereva |
Anno | 2018 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Ucraina, Polonia, Macedonia |
Durata | 88 minuti |
Regia di | Marysia Nikitiuk |
Attori | Eugen Grigoriev, Alla Samoilenko, Anastasiia Pustovit, Maksym Samchik, Aelita Nazarenko Petro Pastuhov, Mariia Svizhynska, Vadym Kovaliov, Maria Trepikova, Sofia Halaimova, Alla Samoylenko, Volodymyr Bezdomnikov, Ivan Blindar, Misha Kostyuk, Olga Korbut, Sergey Strelnikov, Roman Matsyuta, Natalia Gaevskaya. |
MYmonetro | 2,74 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento lunedì 22 novembre 2021
La storia di una bambina ribelle di cinque anni, Vitka, la cugina adolescente Larysa e il suo fidanzato, il giovane criminale Scar.
CONSIGLIATO SÌ
|
Larysa è ucraina, ha vent'anni e durante l'estate, a un mese dalla morte del padre, vive con la nonna in un villaggio di campagna. Qui ha una relazione con Scar, affascinante criminale con cui fa l'amore di notte, nei boschi attorno al villaggio. Sotto gli occhi della cuginetta Vitka, che ha cinque anni e una fantasia sfrenata, Larysa subisce le pressioni del mondo degli adulti: separata da Scar, prova a fuggire con il ragazzo e la sua banda, ma viene scacciata e rimandata dalla madre, nella periferia di un grande città cementificata. E mentre la vita di Scar precipita in una spirale di violenza e quella di Larysa si piega al volere della famiglia, solo Vitka saprà vivere il suo sogno.
L'esordio di Marysia Nikitiuk è una dramma torbido e visionario, capace di mostrare fin dal primissimo lavoro tutta la ricchezza e tutti i limiti di un talento per ora senza controllo. In attesa di un secondo film già terminato e ancora inedito.
Tra l'impressionismo fotografico del Wajda di Il bosco di betulle, la rabbia surreale del Von Trier di Dogville e l'eccesso visionario di Elem Klimov (L'isola, Va' e vieni), nel 2018, nella sezione Panorama della Berlinale, l'esordio di Marysia Nikitiuk, ucraina, classe 1986, regista, sceneggiatrice, talvolta anche attrice, non era passato inosservato. Colorato, surreale, selvaggio, eccessivo, When the Tree Falls porta in un'Ucraina senza tempo e pesantemente simbolica, tra una campagna bucolica ancora immersa in atmosfere da era sovietica (macchine anni '50, gente a cavallo, abitudini secolari dure a morire) e una periferia urbana cementificata priva di umanità e bellezza.
Tra due universi opposti e complementari, entrambi violenti e animaleschi, il film traccia la parabola disperata di due figure dannate e di una creatura celestiale: da un lato Larysa e Scar, belli, ribelli, ingordi di piacere, incapaci di mediare fra fantasia e realtà come gli adulti sono chiamati a fare, e dall'altro Vitka, piccola, curiosa, coraggiosa, ancora bambina e per questo capace di far vincere la fantasia sulla realtà.
Attorno a queste figure gravita un mondo rappresentato come un eterno, immutabile girone infernale: vecchi e adulti anaffettivi e attenti solamente alle regole sociali; abitanti di villaggi e di città impulsivi e razzisti; giovani affamati di sesso e di violenza; anziani vendicativi e ciechi di fronte alle richieste di affetto e attenzione. Anche la natura, in una campagna rigogliosa ma putrescente, tra acquitrini, paludi e foreste nebbiose, sembra recare il segno della dannazione.
L'impressionismo della regia insiste sul continuo scambio di umori tra i personaggi e l'ambiente: poco alla volta attorno a Larysa, Scar e Vitka si chiudono le porte di una prigione vera (Larysa è confinata in casa dalla nonna, Vitka è troppo piccola per muoversi sola, Scar rimane invischiato in un colpo finito male) e ovviamente simbolica, con le regole di un mondo comunitario e tribale che colpiscono soprattutto i più giovani.
I limiti di questa rappresentazione stanno nella totale empatia di Marysia Nikitiuk per le sue creature, che sono selvagge e attraenti, ma anche limitate, e di fronte alle quali la perdita di controllo e della misura, la fa esagerare nella rappresentazione del sesso, della rabbia, della frustrazione. E tra amplessi en plain air, urla, corse, incendi, rappresaglie, feste caotiche, il film stesso - nonostante l'evidente volontà della sua autrice - diventa soffocante e opprimente, con il rischio di generare una reazione di rifiuto.
C'è davvero del talento, insomma, nell'idea di cinema di questa regista ucraina: ma per il momento è un'idea che si alimenta dei suoi stessi eccessi, risultando alla lunga ridondante e fuori scala.