Titolo originale | Barbara |
Anno | 2017 |
Genere | Biografico |
Produzione | Francia |
Durata | 98 minuti |
Regia di | Mathieu Amalric |
Attori | Jeanne Balibar, Mathieu Amalric, Vincent Peirani, Aurore Clément, Grégoire Colin Fanny Imber, Pierre Michon, Stéphane Roger, Marie Desgranges, Erwan Ribard, Pierre Léon, Lisa Ray-Jacobs, Lionel Sorce, Marc Bodnar, Antoine Simoni, Dominique Mahut, Marc Casa, Fred Casa, Julien Aellion, Anthony Dechaux, Dylan Talleux, Juliette du Pont de Romémont, Samuel Glaumé, Junichi Nishimata, Fabrice Giovansili, Xavier Pottier, Bulle Pagès, Harold Crouzet, Ghislaine Pons, Jean-Charles Mouveaux, Barbara (II), Jonathan Boudina, Jacques Brel, Maurice Béjart (II), Pierre Léon Luneau. |
Tag | Da vedere 2017 |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,21 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento sabato 27 maggio 2017
Un biopic musicale ambientato negli Anni Sessanta e dedicato alla leggendaria cantante francese Barbara.
CONSIGLIATO SÌ
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Lei si chiama Brigitte e interpreta Barbara. Lui si chiama Yves e la dirige. Lei è destinata alla scena, lui ad amarla in prima fila. Timido, febbrile, ammaliato. Da Brigitte o da Barbara? L'una e l'altra senz'altro. Perché le due dame brune non smettono di dialogare, di confondersi, di separarsi, di scambiarsi al punto da non poterle più distinguere. Chi canta? L'attrice o la chanteuse? Crediamo di saperlo ma forse ci sbagliamo. Il modello e il suo riflesso ingaggiano un passo a due che rende folli se cerchiamo di comprendere. Il vero e il falso, il documento e la sua riproduzione cortocircuitano in un film che altera i codici del biopic tradizionale. Perché Barbara, settima regia di Mathieu Amalric, è un biopic in versi liberi che impone la grande arte della cantautrice francese senza (s)cadere mai nella confessione.
Non è la biografia che interessa all'autore ma lo spirito di Barbara, le sue vertigini, le sue emozioni, le sue impressioni. Quel volto, quella voce che ci penetra fino a violare la nostra intimità, a prolungarci, a comprenderci. Evocazione, ossessione, esercizio di frammentazione, avvicendamento fantasmagorico di note e di luci, questo è Barbara. Un poema caleidoscopico che abbaglia corteggiando un mito col cuore ferito.
Amalric, con la complicità di Jeanne Babier, improvvisa intorno ai gesti, ai riti, agli accessori (occhiali neri, piano, boa, châle noir) che hanno 'vestito' l'anima di un'artista singolare. Due documenti preziosi servono il film di Amalric e fanno da filo conduttore: il libro culto di Jacques Tournier, "Barbara ou les parenthèses", pubblicato nel 1968, e il documentario di Gérard Vergez (Barbara ou Ma plus belle histoire d'amour), realizzato nel 1972 e abitato da Barbara, passeggera languida e ciarliera in auto o in treno. Amalric rigira quelle stesse sequenze con Jeanne Balibar. E lo fa così bene che non riconosciamo più, ci perdiamo, ingarbugliamo in quei fotogrammi sgranati, in quel miracolo digitale in cui si gioca il nodo del film: recitare un corpo a corpo con la leggenda e la sua incarnazione, la forza del falso e il bagliore incomparabile della verità. Al biopic, Amalric combina un altro genere, il film nel film partendo da un fantasma e non dalla donna, muovendo dalle canzoni che dispiegano un diario intimo, prossimo all'auto fiction letteraria. Tutta la sua intimità, Barbara la destinava alla scena e ai dischi, declinava in arte la sua vita per liberarsene, consegnandola al suo pubblico perché la conservasse. L'infanzia in fuga di bimba ebrea, la guerra, il padre incestuoso, la madre svagata, sono enunciati ma in sordina. Barbara non avrebbe apprezzato e tutta quella vita non appartiene che a lei. Amalric procede allora per allusioni sottili o rivelazioni fugaci. Barbara dice e canta un'enormità di cose mentre scivola agile sulla superficie senza interrompere il sortilegio. Ci mostra come nasce una canzone come "Je ne sais pas", come la cantautrice di "Nantes" si prepara al palcoscenico, si abbiglia, abita la scena, stregando tutti quelli che la circondano.
Barbara-Balibar è tutto o niente, è impossibile amarla/e timidamente. Arabesco, fantasma, sogno risvegliato, la Barbara di Amalric è stordente e capricciosa, autoritaria e tenace, spassosa e tagliente. A darle corpo e voce è Jeanne Balibar, che trascende le ordinarie convenzioni imitative del biopic. Posseduta da Barbara, precipita in una trance incosciente mentre si accompagna al piano o a un giovane amante, mentre canta "Göttingen" sul set o "L'aigle noir" nel televisore di un café. Impossibile determinare lo scarto tra l'originale e la sua copia. Claire de nuit dotate di una femminilità libera e una modernità insolente, si allacciano intorno a una canzone e dentro un ritratto in filigrana, ricomposto in maniera sparsa e deliberatamente lacunoso. Variazione virtuosa e ipercontemporanea della leggenda di Barbara, il film di Amalric dona una forma cinematografica alla percezione 'googlizzata' dei grandi miti artistici del XX secolo. Le immagini d'archivio, le pagine, gli aneddoti, i documenti aderiscono alla loro ricostruzione finzionale, al corpo magnetico di Jeanne Babier, allo sguardo fervido di Mathieu Amalric che trova la sua Barbara e lascia a noi la nostra. Una frase spezzata dietro il vibrato trionfante, una musica discordante dietro un piano accordato, Monique Serf dietro Barbara.