Titolo originale | Rolling Stones in Cuba |
Anno | 2016 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Cuba |
Durata | 116 minuti |
Regia di | Paul Dugdale |
Attori | Mick Jagger, Keith Richards, Charlie Watts, Ronnie Wood . |
Uscita | venerdì 23 settembre 2016 |
Distribuzione | Nexo Digital |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,02 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 22 settembre 2016
Il documentario racconta i retroscena di un concerto storico che ha segnato il cambiamento culturale dell'isola di Cuba. In Italia al Box Office The Rolling Stones - Havana Moon in Cuba ha incassato 97,1 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Il 20 marzo 2016 Barack Obama è in visita ufficiale a Cuba, il primo presidente americano a mettervi piede dal 1928. Il suo discorso è un invito alla riapertura dei dialoghi degli Usa con il paese di Che Guevara e Fidel Castro. Cinque giorni dopo, i leggendari The Rolling Stones arrivano sull'isola caraibica per un megaconcerto. La loro musica è stata a lungo bandita (in pubblico, in realtà importata di contrabbando, come tutta la musica yankee). Difficile non stabilire una connessione tra i due eventi.
Al di là delle operazioni di finanza e marketing, il concerto è degno di nota perché segna, più che un primato (altri hanno suonato a Cuba prima di loro) il coronamento del loro tour in America Latina. Il record è semmai quello di quattro ultrasettantenni (Wood li compirà il prossimo giugno) che hanno suonato ovunque e tengono ancora il palco per mezzo milione di persone. Nella breve introduzione che precede la ripresa del concerto dentro la Ciudad Deportiva dell'Avana, la band risponde a cinque domande di routine sul fascino locale e la difficoltà della megaproduzione. Il merito è di una macchina organizzativa perfetta e di un ensemble di musicisti e cantanti che li accompagna e ne sostiene il sound indiscutibilmente invecchiato bene, come ogni cosa che abbia qualità.
Quello che segue è, può essere - a seconda che si creda o meno al racconto di un tabù infranto, al valore rivoluzionario del rock e all'effettiva motivazione della band a supportare il cambiamento politico nel Paese - l'esperienza di un evento musicale storico oppure dell'ennesima tappa nel cinquantenario show degli Stones. Ed è godibile in entrambi i casi. Anche se l'esile cornice diurna e urbana alla performance - flash delle tipiche Cadillac, ragazzi che giocano per strada, campi lunghi su una città dalla decadenza affascinante - non fa propendere per la prima ipotesi. Ma basta che dal buio lunare dello stadio parta il riff di Jumpin' Jack Flash per accantonare ogni quesito sulle reali ragioni per cui quella platea enorme è lì per loro, se non per la gratuità del concerto e per l'improbabilità stessa della possibilità quella serata.
Lo spettacolo è servito abbondante: oltre un'ora e mezza di palco con poche pause, qualche frase di circostanza, sporadiche discese tra il pubblico, intergenerazionale e molto composto. La regia di Dugdale è funzionale al ritmo della band, puntuale nel seguire una scaletta che gioca sul sicuro - da It's Only Rock 'n' Roll (But I Like It) alla sequenza Gimme Shelter, Sympathy For the Devil, Brown Sugar, You Can't Always Get What You Want e ovviamente (I Can't Get No) Satisfation a chiudere - ma anche nel cogliere i tic e gli stilemi dei quattro, il loro consolidato, felino repertorio: le corsette e la chicken dance di Jagger, come sempre il più concentrato e cinetico, le mosse, le smorfie e le pennate minimali di Richards, il contraltare più solido di Wood, stupito ed eccitato, l'aplomb di un emozionato Watts, le pause di backstage, gli sguardi per gli stacchi.
Consumatissimi performer eppure increduli di fronte a una marea umana un po' diversa da tutte le altre: è per lo più il divertimento sulle facce grinzose di questi "Rolling Stones Social Club", felici di essere ancora "alive and kickin'", a farceli guardare di nuovo con emozione e più volentieri che in altre operazioni spudoratamente autocelebrative come The Rolling Stones Crossfire Hurricane.
Da fan degli Stones quale sono(e iperfan sfegatato e credo sia dire poco)potrei fermarmi qui, ma invece cerco di essere"oggetivo": A)Il flm è efficace cogliendo l'interazione-interattività tra la band e spettatroi-spettatrici, mai "freddi"(per chi dice che i"latinos"non amano il rock è clamorosa smentita-tutti/e (anche las latinas, insomma)cantano-in [...] Vai alla recensione »